Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica
Roma - Per la prima volta Gianfranco Fini parla di Montecarlo, dopo essersi affidato, l’8 agosto, a una nota scritta di chiarimenti che chiarivano poco. Lo fa ospite del telegiornale di Enrico Mentana, su La7. L’argomento dell’affaire immobiliare risulta piuttosto sgradito al presidente della Camera, che tenta il più possibile di glissare, ma tocca comunque un paio di punti cruciali, senza aggiungere elementi di chiarezza alla vicenda. Anzi. L’unica «novità» è un dettaglio che negli otto punti di «chiarimento» aveva omesso, spiegando di «non essere mai andato nella casa di Montecarlo». E i vicini che hanno detto, non solo al Giornale, di averlo incontrato nell’androne del palazzo insieme a Elisabetta Tulliani? Mentono tutti? Sono vittime di un’allucinazione collettiva? «Chi dice che mi ha visto lo provi». Dove la versione finiana scricchiola è sulla ricostruzione della compravendita. Nella nota di agosto Fini disse che Tulliani, «in base alle sue relazioni e conoscenze», gli propose un acquirente per la casa, e che una volta che gli uffici di An ebbero verificato che il prezzo era superiore alla valutazione di dieci anni prima, autorizzò Pontone a vendere. Ieri lui stesso ha definito «congrua» (sic!) quella risibile offerta (300mila euro a fronte di stime superiori al milione di euro), ribadendo di aver detto a Pontone di vendere. Tulliani «disse che c’era chi era interessato a comprarla», ma in che modo il «cognato» sapesse che An voleva vendere quella casa che Anna Maria Colleoni aveva lasciato in eredità al partito è un mistero. Non per Fini, che nega di averglielo detto. Per spiegare la stranezza sceglie un inappropriato sarcasmo: «Crede che a Montecarlo sia difficile sapere di una casa in vendita? Non è certo una metropoli». Era talmente noto che nemmeno i condomini che da anni tentavano di acquistare quell’immobile sapevano fosse in vendita. Sul fatto che poi a viverci ci sia andato, guardacaso, proprio suo «cognato» che a detta di Fini aveva conoscenze nel settore immobiliare a Montecarlo (tali e tante conoscenze che Tulliani disturbò l’ambasciatore Mistretta addirittura per chiedere se conosceva imprese di ristrutturazione) nemmeno una parola. Mentana prova a sfiorare l’argomento, domandandogli conferma di quel «disappunto» che Fini avrebbe provato sapendo che Giancarlo Tulliani era l’inquilino della casa monegasca, ma il Presidente dribbla il tema alla velocità della luce: «Sono molto più arrabbiato con chi da un mese ha sottoposto la mia famiglia a un’autentica lapidazione». Sull’affittuario i fatti svaniscono, forse è un’incredibile «coincidenza», come diceva imbarazzato il tesoriere di An Francesco Pontone il 4 agosto. Tanto che Fini, su quell’inquilino, invita ad aspettare il verdetto della magistratura e dice di avere la «coscienza a posto». Ma proprio la magistratura, continuamente blandita da Fini, è interessata all’affaire immobiliare non tanto per il cognato in Ferrari bensì per il sospetto che la compravendita sia stata un danno per le casse del partito.
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