Con Facchetti e Mazzola, Tarcisio Burgnich, 71 anni compiuti sabato, fu l'unico a disputare le 4 finali di coppa dei Campioni interiste. Adesso è pensionato in Toscana, collabora con l'Inter visionando calciatori. Mercoledì sera ha trepidato davanti alla tv: «Ho sofferto molto, come la mia squadra - racconta il difensore nerazzurro dal '62 al '72 -, però quando c'è un obiettivo da raggiungere a tutti i costi, qualsiasi mezzo è lecito, tanto più in inferiorità numerica. Ricordo la finale persa a Lisbona contro il Celtic, nel '67, ci mancava Suarez, almeno però eravamo in 11. In queste manifestazioni è quasi impossibile tenere il risultato con l'uomo in meno per un'ora».
E l'Inter aveva già Sneijder non al meglio.
«Rientrava da infortunio, anche l'olandese ha fatto quanto era giusto per portare a casa la qualificazione. E' importante quanto Suarez ai tempi miei, Luisito era il catalizzatore, dettava i tempi d'inserimento agli attaccanti. Stankovic è bravo, ma non così determinante nel mandare in gol le punte».
La sua Inter si aggiudicò le prime due finali, '64 e '65, con Real Madrid e Benfica, squadre latine come il Barcellona, perdendo contro le nordiche Celtic Glasgow e Ajax. Contro i tedeschi il rischio è analogo?
«Nel '72 perdemmo 2-0 a Rotterdam contro gli olandesi. Suarez era andato alla Sampdoria, c'erano ancora Corso e Bedin, mentre Jair era rientrato dalla Roma con un ginocchio malandato. Nel '67 a Lisbona con gli scozzesi andammo in vantaggio con un rigore di Mazzola, che pure aveva la febbre. Sull'1-0 teoricamente per qualsiasi avversaria era finita, appunto però mancava chi gestisse gioco e rifiniture. Il povero Armando Picchi ben presto disse a Sarti che stava compiendo miracoli in porta: "Lascia passare qualcosa, non ce la facciamo più". Significava arrenderci in anticipo. Allora il Celtic era in auge, tecnicamente italiano, geniale, a differenza di inglesi e irlandesi».
In questa finale gli antagonisti principali sono olandesi, l'allenatore Van Gaal e il mancino Robben.
«Il Bayern doveva uscire con la Fiorentina, meritava di perdere già a Monaco, a volte incide la fortuna».
Lei fu uno dei simboli del catenaccio, tra i nerazzurri di Mourinho in chi si rivede?
«Ero un terzino con attitudini da centrale. Mi mettevano sempre a marcare l'uomo più pericoloso, mentre faceva la fascia il mediano, di spinta, appunto. Si giocava diversamente, negli anni 60 imperavano le ali: Stacchini, Mora e Menichelli; adesso Ribery e Robben si accentrano. Sono alto uno e 76, più rapido di Samuel e Lucio sul corto, avevo senso della posizione».
Come Cannavaro, che ha vinto il Pallone d'Oro, fallendo solo all'Inter.
«C'è molta pubblicità dietro Fabio, oggi si aggiudica i trofei chi ha più forza mediatica alle spalle, diversamente l'avrebbero vinto anche Franco Baresi e Gigi Riva».
Mou è come Helenio Herrera?
«Per la serietà negli allenamenti e la tutela dei giocatori fuori dal campo.
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