Difesa

Eserciti di cittadini, mercenari e armi: la Nato si prepara alla guerra con Mosca

Diversi Paesi dell'Alleanza atlantica sembrano intenzionati a implementare programmi di militarizzazione della popolazione civile, attraverso la reintroduzione della leva obbligatoria e un rafforzamento delle forze armate

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Sempre più Paesi della Nato sembrano intenzionati a preparare i civili ad una guerra contro la Russia. Martedì 24 gennaio, il capo dell’esercito britannico Sir Patrick Sanders ha dichiarato che il Regno Unito deve “deve reclutare e addestrare un esercito di cittadini pronti alla battaglia” in caso di un conflitto con Mosca, un’eventualità che i rapporti di intelligence e militari di diverse nazioni europee ritengono una possa verificarsi nel prossimo decennio.

Bisogna rendersi conto che stiamo passando da un mondo post bellico a uno pre-guerra” ha aggiunto il chief of the general staff alla conferenza “International armoured vehicles” di Londa, sottolineando che “l’aeronautica non basta. Dobbiamo essere credibili anche riguardo alla nostra forza via terra. Nei prossimi tre anni, dobbiamo arrivare a un esercito britannico di almeno 120mila unità. E comunque non basta”. L’ex comandante delle forze armate di Sua Maestà Lorda Dannatt aveva già toccato questo argomento, esortando il governo a “non ripetere l’errore degli anni ’30. Nel 2006 avevamo 106mila soldati, oggi siamo a 74mila e i numeri sono in picchiata. Bisogna cambiare rotta”. Per ora sembra improbabile una reintroduzione della leva obbligatoria, ma secondo Sander, che aveva paragonato l’invasione russa dell’Ucraina del 2022 al 1937, “dobbiamo discuterne”.

Tra i Paesi convinti della necessità di riarmarsi ed essere pronti alla guerra vi sono anche Germania, Polonia e Svezia. Il ministro della Difesa di Berlino Boris Pistorius ha dichiarato che la Repubblica federale deve diventare kriegstuechtig, ovvero abile a condurre un conflitto. Il Bundestag discuterà ad aprile della possibilità di ripristinare la leva militare e il titolare del dicastero ha persino teorizzato la possibilità di reclutare tra gli stranieri, sottolineando che “non saremmo il primo esercito in Europa a farlo”. A due anni dalla promessa fatta da Olaf Scholz di aumentare le spese per l’esercito al 2% del Pil e di rimettere in sesto le forze armate tedesche con investimenti da 100 miliardi di dollari, però, si fatica ancora a vedere i risultati.

Più a est, il governo polacco ha già pubblicato a inizio gennaio le linee guida in caso di mobilitazione generale o dello scoppio di una guerra. Il Paese si troverebbe in prima linea contro la Russia e il nuovo governo guidato da Donald Tusk sembra intenzionato a mantenere la continuità con l’esecutivo precedente in materia di Difesa. L’obiettivo di Varsavia, dunque, resta quello di dotarsi del più grande esercito di terra in Europa, con un totale di 300mila effettivi di cui 250mila professionisti e 50mila volontari. La nazione esteuropea, inoltre, ha firmato importanti accordi con Stati Uniti e Corea del Sud per l’acquisto di carri armati, aerei da combattimento, artiglieria e sistemi di difesa aerea.

Stoccolma ha seguito l’esempio della Polonia. Il ministro della Difesa Carl-Oskar Bohlin ha presentato un piano che comprende il rafforzamento dell’esercito attraverso il reclutamento di coscritti e professionisti, l’implementazione di un sistema a lungo termine per l’approvvigionamento di munizioni nell’area scandinava e l’adozione di strategie volte a garantire alle forze armate svedesi la superiorità tecnologica sul campo di battaglia.

Le autorità di Stoccolma hanno inoltre invitato i propri cittadini a prepararsi per il conflitto, portando ad un’impennata dei volontari della protezione civile e della vendita di torce e radio a batteria.

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