Il nome di Navi Pillay, attuale Alto commissario per i Diritti umani, una delle più alte cariche ai vertici Onu, forse non vi dice niente. Tenetelo a mente. Da qui a venerdì la signora promette di trasformarsi nel simbolo planetario della viltà e della meschineria civile. In perfetta sintonia con l’organizzazione che rappresenta. E con il plauso di quei paesi (Russia, Kazhakstan, Colombia, Tunisia, Arabia Saudita, Pakistan, Serbia, Irak, Iran, Vietnam, Afghanistan, Venezuela, Filippine, Egitto, Sudan, Ucraina, Cuba e Marocco) pronti, pur di compiacere Pechino, a disertare la consegna del Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo. Consegna si fa per dire. Il 54enne scrittore è in carcere dal dicembre 2008 e sconta una condanna a 11 anni per sovversione, ovvero per aver firmato e pubblicato la cosiddetta Carta 08, un manifesto sui diritti umani e le libertà civili. Quanto a sua moglie, le autorità la tengono segregata in casa e si guardano bene dal concederle il permesso di volare a Oslo.
Agli occhi della signora Pillay queste devon essere sciocchezzuole, bagatelle non all’altezza della sua carica e della sua preziosa solidarietà. Quando Yang Jianli, un amico del Premio Nobel, ha osato invitarla a presenziare alla cerimonia lei ha cortesemente declinato. Agenda piena, altri impegni, diverse priorità ha fatto capire. Quali siano nell’ottica di un Alto commissariato dell’Onu per i Diritti Umani gli impegni più importanti della solidarietà ad un Nobel per la Pace incarcerato è difficile comprenderlo. Yang Jianli, un amico dello scrittore, promotore di una mobilitazione in suo favore, un’idea se l’è fatta. E ha subito chiesto le dimissioni dell’Alto commissario. «Con questa decisione – sostiene Jianli - la Pillay sta inequivocabilmente abdicando alle proprie responsabilità ... questo a mio parere per le pressioni esercitate da Pechino... l’Alto commissario è più preoccupato di offendere il governo cinese che non di svolgere il proprio mandato». Accuse dure ma destinate a consumarsi nel rodato manto di solenne ipocrisia che avviluppa il Palazzo di Vetro. L’ingiustificabile defezione dell’Alto commissariato dell’Onu rischia inoltre di render più comprensibile - o meno esecrabile – l’assenza di 18 paesi pronti a tutto pur di assecondare la campagna di Pechino per il boicottaggio della cerimonia. Se non fa nulla l’Onu, un’organizzazione preposta a difendere i diritti umani perché dovrebbero farlo loro.
Quell’elenco di assenti è in fondo la proiezione dell’attuale politica internazionale cinese sullo scenario globale. La Russia non ci va perché commerciare e trattare con il potente vicino è meno pericoloso che bruciarsi le dita con i diritti umani. L’Afghanistan perché ritiratasi la Nato dovrà far i conti con i nuovi potenti vicini di casa. La Serbia perché la Cina guarda a lei per metter un piede in Europa Occidentale e Orientale. La Tunisia e il Marocco perché gli investimenti gialli si stanno finalmente spostando verso il nord del continente africano. La Colombia perché sta vendendo a Pechino quel che - prima di rompere con Chavez - esportava in Venezuela. Il Sudan e l’Iran perché dirottano petrolio in cambio di armi. Cuba perché in fondo siamo tutti comunisti e antiamericani. L’Egitto perché neppure tra le piramidi i diritti umani sono una bandiera. Ma per tornare alla nostra «signora coraggio» quel che fa più specie è l’impegno e la determinazione con cui in altre occasioni non ha esitato a mettere alla berlina il nostro Paese nel nome dei diritti umani. Il una dichiarazione del 15 settembre 2009 Navi Pillay denuncia come «violazione delle leggi internazionale» la politica dei respingimenti attuata dal nostro Paese. A suo dire le imbarcazioni dei clandestini vengono rispedite al mittente usando gli stessi sistemi che si applicherebbero nel caso di imbarcazioni «contenenti rifiuti pericolosi».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.