Il CairoIn Egitto, la pressione della piazza inizia a far traballare il palazzo. Il rais Hosni Mubarak sembra ormai essere sulla via d'uscita, tra indiscrezioni della stampa che indicherebbero la Germania o Sharm El Sheikh come probabili mete desilio. Eppure, cè confusione sulla exit strategy. È arrivata nella sera del dodicesimo giorno di protesta, tra le urla dei manifestanti ancora in strada, la notizia delle dimissioni del presidente dal partito. Assieme a lui, lascia l'intera leadership del movimento. Ed esce di scena anche il delfino Gamal: il suo allontanamento dai vertici del partito mette fine alla possibilità di una successione in stile monastico.
Quello che sta accadendo nel regime egiziano sembra andare nella stessa direzione di quanto auspicato in queste ore dall'Amministrazione americana. Negli ultimi giorni, infatti, Washington aveva fatto capire di essere favorevole a una transizione graduale, con il vice presidente Omar Suleiman come protagonista. Eppure ieri, gli americani hanno fatto arrivare messaggi contrastanti. Il segretario di Stato Hillary Clinton ha parlato a Monaco, alla Conferenza sulla Sicurezza. Poche ore prima, il quotidiano New York Times aveva rivelato che l'Amministrazione americana sarebbe in trattative con i funzionari egiziani per garantire un'uscita di scena dignitosa al rais Mubarak. Clinton ieri ha detto che è importante sostenere Suleiman nel tentativo di arginare la tensione in Egitto. Il deteriorarsi della situazione nel Paese spaventa il segretario di Stato, che ha ricordato preoccupata l'attacco all'oleodotto in Sinai e le indiscrezioni della stampa su presunti attentati al vice presidente egiziano. «Ci vuole tempo», ha spiegato, per costruire la transizione. Le stesse parole usate dal cancelliere tedesco Angela Merkel che, sempre da Monaco, ha dichiarato che il cambiamento ha bisogno di tempo e ha ricordato la propria esperienza durante la riunificazione della Germania. Eppure, da Washington arrivano messaggi criptici. Poche ore dopo le parole di Clinton, l'inviato americano in Egitto, Frank Wisner, ha detto che Hosni Mubarak deve restare a mediare la transizione. «Come ha detto il segretario di Stato, noi puntiamo a una transizione ordinata verso un futuro democratico per lEgitto. E questa responsabilità sta chiaramente nelle mani degli egiziani, ma soprattutto in quelle del presidente Mubarak, il quale deve fornire la leadership assieme ai suoi colleghi nel governo».
La dichiarazione contraddice in parte le posizioni prese soltanto poche ore prima da Clinton e accresce la confusione. E mentre dalle cancellerie internazionali si guarda con preoccupazione all'Egitto, al Cairo la piazza non cede. «Noi non ce ne andremo se lui non se ne va», uno degli slogan più utilizzati. E ieri, a midan Tahrir, sono tornate migliaia di persone. Hanno cantato e ballato come il giorno prima. «Via Mubarak, via», ha gridato per venti minuti al microfono una bambina. Il crescente numero di tende da campeggio nel cuore del dissenso indica che la protesta intende andare avanti. C'è persino chi vende coperte, tè, panini a chi passa la notte in piazza. Allo Spiegel il volto noto dell'opposizione, Mohammed ElBaradei, ha reiterato che Mubarak deve presentare immediatamente le dimissioni. I movimenti della piazza non hanno accettato l'offerta del regime di negoziare, come invece avrebbe fatto uno degli storici partiti dell'opposizione «legalizzata», il Wafd. Prima di trattare, i manifestanti vogliono vedere Mubarak fuori dal palazzo.
Nella confusione di queste ore, alla ricerca di una via di fuga dalla crisi, è spuntato anche un «consiglio dei saggi», formato da personalità del mondo accademico e giuridico che sarebbero in contatto con Suleiman. Il gruppo ha firmato un comunicato pubblicato in cui si propone che il rais lasci il potere al suo vice ma rimanga all'interno del regime nel periodo della transizione. Amin al Mady, uno dei firmatari del documento, prende però le distanze dal progetto: «C'è stato un errore, non mi siederei certo a negoziare con loro. Servono riforme reali», dice.
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