La dinastia Bhutto si perpetua, come i feudatari di un tempo. Il potere passa dalla madre assassinata al giovane figlio, Bilawal, il cui nome significa «senza eguali». In realtà il testamento politico di Benazir Bhutto indicava come successore alla guida del Partito popolare pachistano il discusso marito, Asif Ali Zardari. Ma le vecchie storie di tangenti e corruzioni pesano ancora, perciò Zardari si è autodeclassato a copresidente del partito elevando il figlio Bilawal alla carica numero uno.
L’annuncio è stato dato ieri a Naudero, dove abita la famiglia di Benazir, uccisa giovedì. Alla lettura del testamento, stilato dalla Bhutto lo scorso ottobre prima di rientrare in patria, era presente il comitato centrale del partito.
«Mia madre diceva sempre che la democrazia è la migliore vendetta», ha esordito davanti ai giornalisti il neo-presidente del più forte partito d’opposizione in Pakistan. Bilawal, che ha 19 anni, sembrava più intenzionato a continuare gli studi a Oxford. Ma papà Zardari ha subito messo le mani avanti, facendo capire che guiderà lui il figlio nelle decisioni importanti.
L’emozione per l’assassinio della Bhutto ha sollevato gli animi a favore del Partito popolare, e nominare suo erede alla presidenza il figlio è un’eccellente operazione di marketing politico in vista delle elezioni parlamentari. Il padre non è l’unico regista dell’operazione. Uno dei personaggi chiave tra i popolari è Makhdoom Amin Fahim, il numero due della Bhutto, che guidò il partito durante il lungo esilio di Benazir. Non a caso Fahim ha ritagliato per sé la candidatura di primo ministro quando il partito vincerà le elezioni.
La vera decisione politica presa ieri dagli eredi della Bhutto è di partecipare al voto e di volerlo fare l’8 gennaio, la data inizialmente prevista per le parlamentari. Il motivo è semplice: stravincere cavalcando l’onda della protesta contro il capo dello Stato Pervez Musharraf, che molti pachistani indicano come il mandante occulto dell’assassinio della Bhutto.
Zardari ha ribadito che «vendicheremo la morte di Benazir attraverso il processo democratico, dopo aver vinto le elezioni». Lo ha seguito a ruota l’altro leader dell’opposizione, Nawaz Sharif, che fino a poche ore prima propugnava il boicottaggio. La Lega musulmana di Sharif parteciperà al voto sperando in un governo di coalizione anti-Musharraf.
Proprio il partito del presidente pachistano sta invece puntando i piedi per far slittare le elezioni di «3-4 mesi», come ha dichiarato ieri Tariq Azim, il portavoce della Lega musulmana fedele a Musharraf. «Non c’è un clima in cui possiamo rivolgerci agli elettori», ha spiegato il portavoce. Non ha tutti i torti, tenendo conto dell’ondata di violenza che ha sconvolto il Paese dopo l’attentato alla Bhutto e ha provocato 47 morti. Oggi la Commissione elettorale si riunirà per valutare l’effetto delle violenze sul voto. Se deciderà di chiedere un rinvio è probabile che il Partito popolare si ribellerà facendo riesplodere la protesta.
Inoltre i sostenitori della Bhutto hanno chiesto l’intervento dell’Onu nell’inchiesta sulla morte di Benazir. Lo stesso copione utilizzato per l’omicidio eccellente del primo ministro libanese Rafik Hariri.
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