Claudio De Carli
Si chiama dinastia, e non fa nulla se suona troppo forte perché ci sono state delle interruzioni. Quarantanni dopo papà Angelo, eletto nel 1955, Massimo Moratti ha preso il comando dellInter, nel 2004 lha lasciato a Giacinto Facchetti, 1.022 giorni dopo la famiglia torna e si moltiplica: assieme al patron rieletto presidente ieri dallassemblea dei soci (31 milioni di euro ripianati, bilancio approvato), tornano nel Consiglio anche i due figli Angelo Mario e Giovanni, assieme al rientro di Marco Tronchetti Provera che presentò le sue dimissioni il 19 gennaio 2004 assieme agli altri membri della famiglia. Una carica che il presidente avrebbe preferito non assumere: «La circostanza è spiacevole ma sarebbe stato offensivo - ha detto subito Moratti -, dover scegliere unaltra persona per sostituire Facchetti». E lassemblea si è aperta con un minuto di silenzio, tutti in piedi: sarà intitolato al gigante nerazzurro il centro sportivo di Interello, la casa del settore giovanile.
Commozione sincera, poi Moratti in piena, taglio cadenzato, nessuna impennata e nessuna arringa, anzi prima uno sfogo: «Siamo stanchi anche noi della continua ironia sullInter - ha detto rispondendo alla domanda di un socio -. Anche chi si professa tifoso eccellente, finisce sempre col fare una battuta. Mi sono abituato, ma mi dà fastidio, mi sono stufato e stancato tremendamente». E un appello: «Venite allo stadio indossando la maglia dellInter, un gesto che i giocatori notano subito e dà calore». Questo è il nuovo Moratti presidente, molto simile a quello che lasciò amareggiato dopo una domenica bestiale: «Torno con entusiasmo e con me i figli che sono il futuro e un nuovo modo di guardare il calcio, porteranno la loro gioventù, esulteranno e soffriranno». E poi ancora rivolto ai tifosi: «Dovete essere fieri di questo scudetto, la vostra squadra è rimasta fuori dal caos, ne dovete gioire, abbiamo lasciato agli altri i problemi da risolvere, è meritato e giusto». Etichettando poi, ma solo perché sollecitato da una domanda diretta, una gaffe quella di chi lo ha definito giuridicamente illegittimo. Dei giocatori ha parlato con il solito affetto, si è ricordato perfino di Cesar e Martins, se gli avessero concesso tempo avrebbe speso volentieri due parole anche su Sixto Peralta, si è limitato a citare tutta la rosa, i nuovi arrivati e la Primavera, con un fuori programma su Adriano: «Ronaldo? Dunque, se dicessimo che stiamo facendo il possibile per far tornare Adriano il giocatore di prima, se dicessimo che lo vogliamo con tutta la sua potenza e che ci crediamo, ma nello stesso tempo avessimo in testa Ronaldo, allora non riusciremmo mai a raggiungere il nostro scopo». Fiducia cieca in Mancini: «A Mosca credevo proprio che la nostra avventura in Champions fosse finita, ma lui è bravo e adesso ci credo anchio». Unammissione: «Sì, stiamo pensando a uno stadio tutto nostro, e non è solo unidea».
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