Diouf, il re dei fallimenti che non lascia mai il trono

Il segretario della Fao è al vertice da 14 anni ed è considerato inamovibile. Sotto accusa la sua gestione dispendiosa, gli sprechi e le cene a base d'aragosta

Diouf, il re dei fallimenti che non lascia mai il trono

Memorabile è rimasto il menù d’apertura del festival 2002 dedicato dalla Fao alla fame nel mondo. La mattinata se n’era andata tra una relazione sulla desertificazione nella Mauritania e una sulla carestia sul sud Sudan. Poi, alle 13, tutti a tavola. Si partì con l’aragosta in vinaigrette, e poi avanti con il kiwi guarnito di foie gras, filetto d’oca con olive, crespelle ai funghi e risotto di arance e zucchini. E siccome l’appetito vien mangiando, e del doman non v’è certezza, come sanno bene i delegati dei Paesi sub-sahariani, si era passati al brasato, al salmone ai tre pepi, e al voilà finale a base di torta bigusto e composta di frutta con vaniglia.

Momenti di tensione, a metà mattinata, si erano registrati a causa di un ritardo del camion che trasportava le aragoste. Ma poi la crisi si era dissolta grazie all’intervento di un mezzo dei servizi di sicurezza dotato di sirena «spartitraffico». Da allora, gli ospiti fissi raccontano che il menù si è come contratto, suscitando la stizza e la delusione di commissari e segretari regionali che vengono addirittura da Uagadugu (in aeroplano, va da sé).

Gran cerimoniere dell’immenso carrozzone, famoso nel mondo per spendere oltre la metà delle sue risorse per alimentare se stesso e la sua fastosa burocrazia è il senegalese Jacques Diouf, 69 anni, studi alla Sorbona e cinque figli. L’anno scorso, un gruppo di esperti internazionali passò ai raggi X l’organizzazione che Diouf governa dal 1994 come un satrapo stendendo 490 pagine di commenti intrisi di curaro. Non c’era capitolo, in quella relazione, che non suonasse come un ceffone sulla collottola del signor direttore generale. Sprechi di risorse, burocrazia cervellotica, denaro in fuga per mille e più rivoli. Lui: sereno. A chi gli domandava se non avesse pensato mai di dimettersi, di fronte a quella gragnuola di accuse, il direttore generale rispose sgranando i suoi occhioni innocenti dietro le grandi lenti da pensatore: «Dimettermi? E perché mai? All’epoca sono stato eletto da 137 Paesi, in modo democratico, a scrutinio segreto. Centotrentasette Paesi sovrani hanno avuto fiducia in me. Perché dovrei andarmene? Quale primo ministro di qualsiasi governo farebbe mai una cosa del genere?».

Il bello è che, a ben guardare, ha ragione lui.
Eppure, già in quel 2002 benedetto dalle aragoste e dal salmone ai tre pepi, lo stesso Diouf aveva ammesso che i progressi nella lotta alla fame nel mondo si erano fermati: «Abbiamo fallito». E ancora: «Non abbiamo scuse». Però lui è sempre lì.

L’ultima pillola avvelenata spedita al gran capo della Fao gli è arrivata un mese fa dal suo connazionale Abdoulaya Wade, presidente del Senegal e capo del governo. «La Fao è uno spreco di denaro e va abolita», ha detto papale papale il presidente senegalese. In passato, Wade aveva sostenuto che la sede centrale dell’organizzazione andava trasferita da Roma alla capitale di una nazione africana. «Ma questa volta mi spingo oltre: voglio che sia abolita», ha detto il 4 maggio alla radio e alla tv del suo Paese. A giudizio di Wade, i finanziamenti della Fao spesso finiscono a «organizzazioni non governative ingorde e divoratrici di aiuti... le quali li useranno in ogni genere di trucco, tra amministrazione, viaggi e spese in hotel di lusso per i cosiddetti esperti, invece di concrete azioni sul terreno». Insomma, del giochino che va avanti da 14 anni ormai si sono accorti anche in Africa. Ma lui, il direttore generale, pare inamovibile.

Lussi, benefit, agi, stipendi d’oro ai suoi impiegati. Ma di risultati concreti sul terreno, come sanno anche a Dakar, non se ne sono visti. Gli unici ai quali la Fao ha sempre dato da mangiare sono i suoi comitati, le commissioni, le sottocommissioni e gli enti che sfornano piramidi alte così di analisi e di dotte disquisizioni sulla sfortuna di una gran parte del genere umano.

Perfino Gino Strada, il fondatore di Emergency, in un momento di lucido pessimismo, arrivò a lambire la verità: «Comincio a pensare - disse proprio così - che la Fao sia l’organizzazione per mantenere la fame nel mondo...».

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