Roma

«Dipendenti capitolini, basta con le umiliazioni»

Altre proposte: stop alle consulenze e patto di produttività con i lavoratori

Rita Smordoni

Un patto di produttività per i 26mila dipendenti capitolini. E un albo pubblico dei consulenti del Campidoglio. Alleanza nazionale ieri ha illustrato alla stampa le sue proposte per rendere trasparente la macchina capitolina e migliorare la qualità del lavoro del personale. All’incontro, svoltosi presso il comitato elettorale «Alemanno sindaco» in via Barberini, hanno preso parte il ministro alle politiche agricole Gianni Alemanno, il presidente romano Vincenzo Piso, il vicepresidente del consiglio comunale Fabio Sabbatani Schiuma ed il capogruppo Sergio Marchi.
«È il momento di fare chiarezza sulle troppe consulenze esterne che gravano il Comune - afferma Alemanno -. Bisogna asciugare le società partecipate per dare più spazio ai dipendenti, con i quali stipuleremo un patto per la produttività. C’è uno squilibrio a cui mettere freno: crescono abnormemente le società partecipate, diminuiscono i dipendenti del Comune di Roma e più si esternalizzano le funzioni, più si possono spendere liberamente i soldi dei cittadini». Poi l’affondo sulla scarsa trasparenza degli incarichi esterni a colpi di determinazioni. Caso Baraldini docet. «Per rimediare occorre un albo pubblico delle consulenze - propone il ministro - per verificare se sono indispensabili ed affidate a persone all’altezza. Altrimenti, si ricorra ai concorsi pubblici».
Per Sabbatani Schiuma il punto più dolente della macchina capitolina è il trattamento economico: «I dipendenti del Comune sono l’ultima ruota del carro, pagati peggio perfino dei loro omologhi della Provincia e della Regione, per mancanza di incentivi e con straordinari ridotti al lumicino. Non è mai stato rispettato l’impegno del Comune per il passaggio dei lavoratori alla categoria superiore. Le sedi di molti uffici sono vetuste, con scarse attrezzature. Il decentramento non è mai decollato, i municipi hanno spazi totalmente insufficienti».
La riprova del disastro è la fuga del personale. Il numero dei dipendenti ogni anno diminuisce di 750-800 unità. Alla fine del 2005 ha toccato il minimo storico di circa 26mila unità. Il mancato rimpiazzo, calcola An, comporta un risparmio per le casse comunali di circa 20 milioni all’anno. Questi fondi potrebbero essere reinvestiti in ulteriori assunzioni, formazione, progressione in carriera, incentivi e progetti di produttività. Ma tutto resta nel libro dei sogni. Perfino l’asilo nido per le dipendenti. «Mentre Alemanno ha istituito il nido presso il ministero alle politiche agricole, Veltroni per il Comune non ne ha mai voluto sapere - denuncia Sabbatani -. Un chiaro esempio di come tenga in nessun conto i lavoratori».
Il mese scorso perfino la Funzione pubblica Cgil di Roma e del Lazio ha lanciato i suoi strali: «L’approvazione in giunta di una delibera sul regolamento di riorganizzazione del Comune inciderà pesantemente sulle retribuzioni dei dirigenti. Senza accordi di merito, sarebbe l’ennesima riprova dello stato catastrofico delle relazioni sindacali nel Comune di Roma. C’è un clima di prevaricazione sindacale».
Non molto meglio vanno le cose nelle aziende della holding Comune. «Esistono vistose disparità di trattamento - denuncia Vincenzo Piso -. I lavoratori assunti a Trambus o all’Atac entro una certa data, ad esempio, godono di indennità che a parità di prestazioni gli altri non hanno».

Sergio Marchi, infine, rileva «l’equipaggiamento assolutamente insufficiente della polizia municipale».

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