Prima o poi dovevamo arrivare al visconte Alexis de Tocqueville. Ma non vogliamo parlare di La democrazia in America, testo che come avviene spesso per i classici è più citato che letto e che ci racconta l'anomalia di quell'esperimento liberale che sono gli Stati Uniti. E nemmeno L'Antico Regime e la Rivoluzione, in cui Tocqueville, contraddicendo tutta una vulgata celebrativa, rilevava la continuità tra assolutismo e Rivoluzione francese.
Nel caleidoscopio di scritti di quest'uomo che ha fatto tutto, dal filosofo al magistrato, dal deputato al ministro di Napoleone III prima e suo critico poi, mi piace suggerirvi l'opuscolo Discorso contro il diritto al lavoro , appena ripubblicato grazie a un'iniziativa meritoria. Avete letto bene: contro il diritto del lavoro. Ce lo riportano in vita i «Classici della Libertà», autentiche pillole di liberalismo, che l'Istituto Bruno Leoni sta pubblicando insieme al giornale on line L'Intraprendente (www.lintraprendente.it) sia nella versione cartacea sia in quella e-book. La collana è stata inaugurata proprio da questo discorso pronunciato all'Assemblea costituente il 12 settembre 1848. La Seconda Repubblica francese sta discutendo la nuova Costituzione. Tocqueville si oppone alle pulsioni radicali e socialiste radicate nell'aula, prendendosela con quello che giudica un pericoloso controsenso. Appunto, il «diritto al lavoro» per tutti i cittadini che andrebbe garantito da parte dello Stato. Il cuore dell'argomentazione è che, se accettiamo questo pseudo-diritto, o dobbiamo ammettere che lo Stato diventi «l'unico imprenditore» presente sulla scena (e questo, vien detto senza tanti giri di parole, «è il comunismo») oppure dobbiamo optare per una «regolamentazione dell'industria» dove lo Stato sia quantomeno «il grande e unico organizzatore del lavoro», impedendo la concorrenza, stabilendo i salari, adeguando sempre la produzione in base all'occupazione (e comunque siamo in una forma di «socialismo» i cui metodi «trasformano, riducono, intralciano la proprietà individuale»). Più o meno la piattaforma politica di Podemos, per stare all'attualità.
Più in generale, Tocqueville si richiama alla tradizione del liberalismo classico per cui i diritti naturali e inalienabili sono quelli che assicurano la libertà dell'individuo, mentre i supposti «diritti sociali» sono spesso costrutti ideologici e forme indebite di livellamento. Chiamatelo reddito di cittadinanza, chiamatelo lotta al precariato, o appunto «diritto al lavoro» aprioristico e indifferenziato, il risultato non cambia.
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