Caro Granzotto, dopo il discorso di Oslo è ancora dellidea che Barack Obama sia una «sòla»?
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Sì, caro Assunto e ora le spiego. Seguace di San Tommaso, prima di giudicare lObamanobel ho aspettato di leggere il testo completo della sua prolusione. Le dico subito che ci sono restato secco per il gran gaudio. Poi, ancora sotto choc, mi sono andato a leggere i commenti dei più noti e sfegatati fan dellObama «Presidente di tutto il mondo» (che è e resta copyright di Concita De Gregorio, la direttora dellUnità, giornale che fu di Gramsci, ma anche di Furio Colombo). Parlo delle grandi firme della stampa libera&democratica per le quali Obama è venuto in Terra per rigirarla da capo a piedi, cacciandovi le ingiustizie, le guerre, la povertà, la fame, il riscaldamento globale, il capitalismo e Berlusconi con un semplice cenno del capo. Per i quali, in una parola, Obama è luomo del change, del cambiamento. Che arrampicate sugli specchi, caro Assunto! E che sgomento, che imbarazzo fra gli obamonanisti: perché la si giri come si vuole, ma a Oslo sembrava che parlasse Bush, con tanto di elmetto in testa e lM16 in spalla. Insomma, caro Assunto, me la sono goduta: vedere quei cari colleghi dimenarsi nel letto di Procuste è stato un vero spasso. Giuseppe De Bellis e Rolla Scolari ne hanno magistralmente dato conto su queste pagine e quindi non mi sembra il caso di tornar sopra alla «Nobel lecture» di Obama. Ma per venire alla sua domanda, caro Assunto, se cioè lUomo della Provvidenza sia o non sia una sòla, un paio di passaggi debbo pur ricordarli. Medaglia e diploma di Nobel per la Pace stretti in pugno, Obama si presenta subito come «il comandante in capo dellesercito di una nazione impegnata in due guerre» e dunque «responsabile del dispiegamento di migliaia di giovani americani, che combattono in una terra lontana. Alcuni uccideranno e altri saranno uccisi». E già questo non è male. Ma cè di meglio: dopo aver gelato il parterre, Obama cala le sue carte in tavola affermando: «Ci saranno momenti in cui le nazioni, agendo individualmente o di concerto, riterranno che lutilizzo della forza non è solo necessario, ma anche moralmente giustificato». Aggiungendo che va bene Martin Luther King, va bene Gandhi, «ma come capo di Stato, avendo giurato di proteggere e difendere la mia nazione, non posso farmi guidare solo dal loro esempio». E qui non solo i membri dellAccademia delle Scienze, ma tutti i repubblicones, tutti gli obamonanisti devono aver avuto un mancamento. Cadendo al tappeto quando il Commander in Chief ha gentilmente voluto ricordare che «nonostante tutti gli errori commessi, i fatti, puri e semplici, sono questi: gli Stati Uniti dAmerica da oltre sessantanni contribuiscono a sostenere la sicurezza mondiale con il sangue dei loro cittadini e la forza delle loro armi». Concludendo, e siamo alla mazzata finale, quella che ti lascia groggy per un pezzo, che «io, come capo di Stato, mi riservo il diritto di agire unilateralmente se necessario a difendere la mia nazione». Unilateralmente! Manco un pensierino allOnu, un accenno alla concertazione per stabilire le mitiche regole di ingaggio! Neanche Bush, lodiatissimo, il detestato Bush era stato capace di tanto.
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