Politica

Disfatta referendaria È andato alle urne un italiano su quattro

Quorum fermo al 25,9%: al voto poco più di 12 milioni di elettori su 49. Buttati al vento 300 milioni di euro

Francesca Angeli

da Roma

Soltanto un italiano su quattro è andato a votare per il referendum sulla procreazione assistita. Appena il 25,9 per cento degli aventi diritto ha sentito il dovere o la necessità di esprimere la propria opinione sulla legge 40. Su 49 milioni di cittadini chiamati alle urne poco più di 12 milioni hanno votato. Tra il 78 e il 89 per cento hanno detto «sì». Curioso il dato degli italiani all’estero. Tra questi, il 55,5% ha votato «sì», ma un considerevole 44,5% s’è schierato per il «no». Ma il referendum è naufragato in un mare di schede inutilizzate e di 300 milioni di euro buttati al vento.
Alla ricerca del quorum perduto. Adesso i referendari possono prendersela con chi vogliono. Il segretario radicale Daniele Capezzone e gli altri promotori del referendum mettono sul banco degli imputati prima di tutto il Viminale «reo» di essersi comportato in modo parziale, di aver impedito agli italiani all’estero di prendere parte al voto, di non aver mandato gli sms di avviso, di aver comunicato in orari falsati il quorum. E poi si può puntare il dito contro i vescovi e la campagna astensionista, i presidenti di Camera e Senato, Pierferdinando Casini e Marcello Pera, che non dovevano dire che non avrebbero votato. Ma si può anche chiamare in causa la voglia di andare al mare degli italiani ed infine il destino cinico e baro. Ci sarà il tempo di riflettere sul perché anche questa volta la consultazione popolare non abbia risvegliato la coscienza dei cittadini. Il fatto indiscutibile è che per nessuno dei referendum indetti negli ultimi dieci anni il quorum è mai stato raggiunto. Il record negativo spetta alla consultazione del 2003 sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: 25,7. Quello «positivo» al 49,6 registrato nel ’99 per la consultazione sul voto proporzionale. Di certo si conferma la necessità di rivedere le regole del referendum.
Tante percentuali, niente quorum. Se è vero che lungo la penisola le differenze nell’affluenza tra Nord e Sud, città e provincia, isole e terraferma sono evidenti è pur vero che in pratica in quasi tutta Italia il quorum non viene raggiunto, confermando una sostanziale identità di vedute dei cittadini rispetto al fatto di andare a votare per questo referendum. Certo tra Piombino in Toscana e Vibo Valentia in Calabria ci sono più di 800 chilometri e 40 punti di percentuale. A Piombino infatti ha votato il 50,7 per cento degli aventi diritto mentre a Vibo Valentia è andato alle urne un elettore su dieci, 10,7. Ed è diversa la media dei votanti se si scompone il voto. Un italiano su tre al centro, dove si è registrata la percentuale più alta, 33,4 per cento, contro il 29,8 del Nord. Meno di uno su sei al Sud, con una media del 15,9. Un po’ più alta nelle isole con il 18,7. Forte partecipazione a Bologna, 47,4; a Reggio Emilia 44,1; a Livorno, 46,2. A Milano si registra la partecipazione del 33,6 per cento ed a Roma del 34,8. Man mano che si scende verso Sud calano pure le percentuali: 18 per cento a Campobasso; 17,9 a Bari; 11,4 a Reggio Calabria. Differenze percentuali ma la sostanza del mancato quorum in quasi tutte le province resta.
Vince l’astensione: perché? Occorre analizzare a fondo la scelta degli italiani per capirne le ragioni. Nicola Piepoli attraverso il suo istituto ha elaborato anche ieri il consueto tableau de bord, ovvero un sondaggio sul tema di attualità della settimana, condotto su un campione statisticamente rilevante di 500 persone. Dunque, spiega Piepoli, sono andati a votare circa 12 milioni e mezzo di persone. Di queste il 54 per cento lo ha fatto «per senso civico», ovvero sarebbe andato a votare comunque a prescindere dal tema del referendum. Potremmo definirli «i ciampini», i cittadini che sentono il dovere di votare in un sistema democratico. Il 45 per cento dei votanti invece lo ha fatto con lo scopo specifico di cambiare la legge 40, giudicandola mal fatta. L’indagine di Piepoli poi conferma che tra gli astensionisti, coloro che hanno scelto di non votare, c’è un 33 per cento di persone che lo fa per disinteresse. Ovvero, in proiezione, sui 37 milioni e rotti di non votanti ad uno su tre non interessa, è indifferente. Accanto a questi però ci sono 23 milioni di elettori, ovvero il 62 per cento, che dichiarano di aver fatto una scelta «attiva» ovvero di non avere votato in modo convinto e non per pigrizia o indifferenza.
Viminale: basta polemiche. Ad urne chiuse il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, più volte chiamato in causa dai referendari, si è voluto togliere qualche sassolino dalla scarpa.

Pisanu esprime «disappunto» per le «pesanti illazioni con cui si è cercato di gettare ombre sulla comprovata correttezza dell’amministrazione dell’Interno» che si è svolta seguendo la solita prassi che non aveva mai sollevato obiezioni.

Commenti