La disoccupazione spaventa Europa e Usa

L’Unione europea non esita a parlare di «aumento drammatico» della disoccupazione. Negli Stati Uniti l’allarme è portato dalle cifre diffuse ieri, che innalzano il tasso dei senza-lavoro in settembre al 9,8%, il livello più alto dal 1983, epoca di reaganomics. Situazione dunque precaria, non priva di ricadute sia sul dibattito in corso sui tempi di avvio delle exit strategy, sia sull’andamento delle Borse. I mercati azionari hanno chiuso la settimana con nuovi dubbi sulla sostenibilità del recente rally, pigiando sul tasto del ribasso nel Vecchio continente (-1,7% il DJ Stoxx 600, -1,74% a Milano il Ftse Mib), mentre Wall Street ha limitato i danni (-0,4% il Dow Jones, -0,10% il Nasdaq).
Del resto l’occupazione - e lo si sapeva - sarà uno dei temi dominanti del dopo-recessione. Con una ripresa economica che certo non si prospetta a V, ma dai connotati lenti e insidiosi, è inevitabile un atteggiamento guardingo da parte delle imprese: riluttanti ad assumere e, anzi, propense a impugnare la scure dei tagli al personale. Ciò vale in particolare per le aziende ancora sofferenti dai postumi della crisi, oppure fortemente vocate all’export, ma anche per quelle soffocate dalla stretta del credito. Un dato su tutti, benché riferito agli Usa, riassume quanto sia inceppato il meccanismo dei nuovi posti di lavoro: solo il 13% dei membri del Business Roundtable, un gruppo di top manager di colossi a stelle e strisce, prevede di aumentare le assunzioni nei prossimi sei mesi. Non è un caso, infatti, se il mese scorso la Corporate America ha continuato a mandare altra gente a casa, 263mila persone per l’esattezza, portando a 15,1 milioni il bilancio dei disoccupati, quasi la metà dei quali vittime della recessione.
Anche l’Europa ha buoni motivi per essere preoccupata. La disoccupazione è al 9,6% (l’Italia, dove il tasso è al 7,4%, è però messa meglio), e si teme - come ha spiegato il presidente di turno dell’Ecofin, Anders Borg, «un consolidamento su livelli elevati». Per evitare il rischio della cronicità, occorre accelerare le riforme strutturali, impiegare le politiche attive del mercato del lavoro (formazione continua, strutture di collocamento), ma soprattutto - ha detto Borg - mantenere le politiche fiscali espansive «al fine di controllare l’aumento della disoccupazione».

D’accordo Dominique Strauss-Kahn, numero uno del Fmi: «Quando si ha la certezza che la disoccupazione sta per scendere, due o tre mesi prima che si verifichi il calo, si deve procedere a un ribaltamento del meccanismo (di stimolo)».

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