Disperato pressing dell’Unione per convincere i sette irriducibili

I dissidenti di Prc, Verdi e Idv: «Se il discorso non ci piace, votiamo no»

da Roma

Non giocate troppo con il fuoco, altrimenti si va a casa. Tutti. Poteva l’avvertimento di D’Alema agevolare la discussione in seno al popolo dei «dissidenti» della sinistra radicale in Senato? Non poteva.
Difatti ieri il capogruppo di Rifondazione, Giovanni Russo Spena, ha dovuto sudare sette camicie per attenuare il disagio dei «ribelli». I quali avevano pure tentato, in mattinata, di trovare un minimo comun denominatore durante un teso incontro a Palazzo Madama. Quattro del Prc (Claudio Grassi, Fosco Giannini, Franco Turigliatto, Haidi Giuliani), due del gruppo Verdi-Pdci-Consumatori (Mauro Bulgarelli e Fernando Rossi), più la dipietrista Franca Rame. Non essendo riuscita l’operazione di «coordinamento», il dissenso è rientrato nei relativi gruppi di appartenenza, che fino a tarda sera hanno dibattuto su come salvare il governo ottenendo la necessaria discontinuità. «Tutto dipende da che cosa dirà D’Alema», è stata la formula magicamente indeterminata.
«Non voglio far cadere il governo - ha dichiarato la Rame -, D’Alema è una persona che stimo, spero che mi incanti...». «Se D’Alema conferma il raddoppio della base di Vicenza il mio no è scontato», ha insistito Giannini. «Spero che ci sia una forte idea di cambiamento», ha ribadito la Giuliani. «Decido dopo averlo sentito», ha confermato l’incertezza Bulgarelli. «Se tace su Vicenza, non appoggia l’idea del referendum o evita di precostituire un’autonoma strategia di uscita dall’Afghanistan, il mio no è scontato», ha minacciato Rossi. Dall’attenta analisi delle frasi, dalla natura dei «se» e dei «ma», emerge che il «sì» alle comunicazioni del ministro pare più vicino. Anche se fino all’ultimo in bilico rimarranno i voti di Rossi, Bulgarelli e Turigliatto, cui andrebbe aggiunto il «no» del senatore a vita Cossiga, raggiunto ieri da una valanga di telefonate. «Sono sorpreso dalle telefonate preoccupate che mi arrivano - si è lamentato -. Ma che sono, un buffone che si rimangia la parola dopo 50 anni di coerenza politica e morale? Io voto contro». Ma poi ha «consigliato» di «non far votare una risoluzione di approvazione delle dichiarazioni del ministro degli Esteri, quanto una risoluzione di “presa d’atto”».
È probabile che la dizione prescelta alla fine sia una via di mezzo: «Preso atto delle comunicazioni, il Senato approva». L’altro «suggerimento» di Cossiga - «D’Alema non parli né di Vicenza né di Afghanistan» - parrebbe invece accolto. La sinistra radicale ci conta.

Il ministro volerà alto: accennerà soltanto all’asse strategico con gli Usa e all’impegno italiano nel Consiglio di sicurezza Onu per una «soluzione politica» in Afghanistan. Nel successivo incontro con i capigruppo, D’Alema dovrebbe concordare l’inserimento della Conferenza di pace nel decreto sulla missione.

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