Aprile 2075: gli Stati Uniti sono lacerati da una guerra civile che ha nuovamente diviso l'America tra Sudisti e Nordisti non più a causa dello schiavismo, ma per una misura economica che vorrebbe porre rimedio alla catastrofe ecologica: un'estate quasi perenne e l'erosione delle coste hanno portato gli Usa al tracollo. Il petrolio è dunque fuori legge. Gli Stati del Sud non ci stanno. La guerra civile infuria. Ovunque baraccopoli abitate da milioni di profughi, «fabbriche e fattorie verticali» dismesse da anni, «autostrade coperte di sabbia» e cieli solcati dai Corvi, «congegni bellici progettati per spiare e uccidere da grandi distanze». Anche il resto del mondo è cambiato. Ad esempio un impero arabo-islamico si estende dal Marocco al Caucaso. Da questo scenario comincia American War, romanzo di Omar El Akkad, (Rizzoli, pagg. 448, euro 22, traduzione di Stefano Tummolini) che non mancherà di far discutere.
Dalla nascita del Libero Stato del Sud - unione tra Alabama, Georgia, Florida, Mississipi e South Carolina - è cominciata la nuova guerra civile: ha provocato oltre undici milioni di morti e «quasi dieci volte tanti a causa della successiva epidemia» di un virus letale creato in laboratorio. In quest'apocalisse si muovono la famiglia Chestnut e la piccola Sarat, protagonista del romanzo. La seguiamo da bambina della «generazione miracolo» (nata tra il 2074 e il 2095, la fine del conflitto) a donna che ci porterà attraverso un'America dove le esistenze sono state ridotte a «metastasi di vita». Perché questo romanzo, come scrive l'autore, «non parla di guerra. Parla di rovina». Omar El Akkad, al suo d'esordio narrativo, nato al Cairo ma naturalizzato canadese, giornalista specializzato in terrorismo internazionale (famosi i suoi reportage dall'Afghanistan e da Guantanamo), attraverso la narrazione distopica ci racconta problemi e scontri universali.
Negli Stati Uniti si sono fatti paragoni con La strada di Cormac McCarthy, Il complotto contro l'America di Philip Roth e 1984 di Orwell. A noi viene piuttosto alla mente Ecotopia, romanzo di Ernest Callenbach (edito in Italia nel 1979 da Mazzotta) in cui si immagina lo stesso scenario solo che è il Nord Ovest ad aver attuato la Secessione. American War trova poi ispirazione in Kurt Vonnegut: nel libro si cita il «campo di Kilgore» e Kilgore Trout è protagonista di Mattatoio n.5, ambientato in un campo di prigionia per americani nella Germania nazista. American War, fin dal titolo, fa anche riferimento alle guerre combattute in Medio Oriente, in particolare quelle «americane» delle quali l'autore è stato testimone.
Ma non mancano rimandi all'Europa: non a caso la nuova capitale federale si chiama «Columbus» (come Cristoforo Colombo), non a caso il primo titolo di 1984 di Orwell doveva essere L'ultimo uomo in Europa, non a caso per Omar El Akkad, come scrive nel romanzo, la secessione è quella dei «falsi confini dettati dal territorio, dalla religione, dalla razza e dalle ideologie».Leggete dunque American War per comprendere la guerra che tutti stiamo combattendo ma senza rendercene conto.
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