Il diversivo dei Ds serve a nascondere la guerra intestina

Arturo Gismondi

La relazione di Fassino alla direzione del suo partito e il voto unitario che è seguito hanno raggiunto un obiettivo, quello di costruire le condizioni minime per avviarsi alle elezione del 9 aprile. Nessuno ha creduto (né all’interno del «parlamentino» né fuori), che quel voto, obbligato e in qualche caso estorto, abbia dato risposte ai problemi degli ultimi mesi. La tregua che regna fra i Ds dipende dagli sviluppi esterni, dai magistrati ai media, e dai tanti imprevisti di un mondo diventato difficile da capire, e ancor più da prevedere. E il calendario ormai incalza: mancano tre mesi alle elezioni, Prodi ha appena squadernato un programma che in luogo delle poche idee in grado di avviare la legislatura che gli si è chiesto da ogni parte si materializza in un centone di pagine che Bertinotti, Diliberto e i verdi hanno già respinto come «irricevibile», e i Ds non hanno avuto il tempo neppure di sfogliare. E c’è subito il problema delle candidature nei singoli collegi, quelle comuni, quelle riservate a Prodi, e la trattativa si presenta agguerrita perché la Margherita ha l’impressione di essere uscita più forte dalla bufera, e reclamerà la sua parte.
Fassino e D'Alema, che escono malconci da tutta la faccenda, hanno sostenuto che le aggressioni e i complotti sono venuti dalla Casa delle libertà e da Berlusconi. Una mistificazione vera e propria poiché da dove vengono gli attacchi è a tutti noto. Gli attacchi nascono dai loro alleati più stretti. L’origine è identificata: si tratta di un’intervista di Parisi nell’estate della quale si ricorda la data, il 5 agosto. In quell’occasione l’uomo di Prodi affermò che esisteva una «questione morale», che ad essa la sinistra non era estranea. Seguì Rutelli che nei mesi successivi attaccò il «collateralismo» fra Ds e Coop rosse. Tutti capirono che Parisi e Rutelli ce l’avevano con Unipol e i Ds, sui quale già si esercitava il bombardamento di alcuni giornali che in questa fase della crisi, dalla scalata al Corriere all’affare Antonveneta e Unipol si sono mossi come una falange macedone schierando le loro pagine e le loro firme dapprima contro gli scalatori della Rcs, poi contro i «furbetti del quartierino» di Antonveneta, e infine contro l’operazione Unipol.
Apparentemente, individuare nel centrodestra il nemico non è gran che. Il Polo ha le sue buone ragioni per avercela coi Ds. E però D’Alema e Fassino, e i tanti che lo hanno fatto, avevano e hanno due buoni motivi per indirizzare verso il centrodestra e Berlusconi l’ira dei militanti e degli elettori, i quali hanno manifestato delusione e rabbia nei sondaggi come nelle paginate intere dedicate dall’Unità. Ma la diversione aveva e ha un altro scopo: porre fine almeno fino al 9 aprile alla guerra intestina che ha sconvolto l’Unione, con i Ds al centro di un attacco concentrico: da una parte la Margherita, dall’altra la sinistra alternativa. Se il Nemico è Berlusconi, è difficile per la Margherita usare gli stessi argomenti. Ancora più difficile lo sarà per Bertinotti, che potrà essere accusato di intelligenza col nemico, arma classica da sempre usata contro l’estremismo.
La mistificazione architettata in questi giorni al Botteghino va smontata, e qui il Polo deve fare la sua parte, perché ne va del futuro prossimo dell'Italia. L’Ulivo capeggiato da Prodi chiederà i voti con la lista unica di Ds e Dl per continuare, dopo le elezioni, una resa dei conti ormai inevitabile per due partiti che hanno obiettivi, strategia, e in fondo nature diversissime fra loro. In questi giorni Prodi ha rimesso in campo come obiettivo immediato quel «Partito democratico».

Che Rutelli vuole, e che i Ds non vogliono affatto perché dovrebbe costituire un contenitore nel quale diluire il potere immenso che i postcomunisti hanno messo insieme negli ultimi quindici anni. È in atto a sinistra una sfida drammatica, della quale il futuro governo, se l’Unione la dovesse spuntare, diventerà il campo di battaglia.
a.gismondi@tin.it

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