Che Dante sia la superstar della letteratura italiana è un dato di fatto: i reading di Vittorio Sermonti sono stati un fenomeno culturale, gli show di Roberto Benigni hanno dominato il botteghino e pure gli ascolti televisivi (il 23 dicembre 2002 su Rai Uno, L’ultimo del Paradiso, fece segnare 12 milioni 687mila spettatori, 45,48 per cento di share). Spesso il poeta è stato reclutato dalla pubblicità, poco tempo fa lo si vedeva concentrato a scrivere la Commedia su un rotolo di carta igienica. Anche il mondo dei videogame ne è rimasto affascinato, tanto che uno dei titoli in uscita più attesi è Dante’s Inferno in cui Alighieri, messo da parte il Dolce Stil Novo, mena le mani come si conviene a un nerboruto crociato deciso a strappare Beatrice dalle fauci di Lucifero con l’ausilio di un Virgilio sotto steroidi.
Dante è forse l’autore più letto, studiato e commentato. Questo però non significa che la sua opera sia priva di zone d’ombra. Anzi. Le sue opere sono state tramandate da una infinita serie di mediatori (copisti, editori, eruditi) motivo per cui, in assenza di autografi, i testi sono spesso malcerti. E la filologia dantesca è uno dei settori più scivolosi e affascinanti dell’italianistica. Ricostruire la fortuna di Dante, investigarne la tradizione di secolo in secolo, è un modo di interpretare e capire l’intera cultura italiana.
Per questo motivo la nuova edizione commentata delle opere di Dante, iniziativa del Centro Pio Rajna (in collaborazione con Casa di Dante) presentata ieri a Roma, sarà un evento. Il professor Enrico Malato, dantista e presidente del Centro, spiega così il piano editoriale: «Otto volumi articolati in 15 tomi. Entro il 2018, è prevista la pubblicazione dei primi sette volumi, cui seguirà l’ottavo di Indici tra il 2019 e il 2020». In anticipo quindi sulla scadenza del settimo centenario della morte del poeta (2021) e a un secolo esatto dalla storica edizione delle opere dantesche datata 1921 e coordinata da Michele Barbi (ancora fa testo, a parte la Commedia, per cui si utilizza il testo fissato successivamente da Giorgio Petrocchi). Si parte, quest’anno, con le opere latine: Epistole, Ecloge, Questio de aqua et terra, a cura di Manlio Pastore Stocchi.
L’impresa sembra ardua, e infatti lo è. Ma il Centro ha maturato esperienza, riuscendo a mandare in libreria, fra il 2001 e il 2009, dieci volumi (18 tomi, 18mila pagine) dell’Edizione nazionale dei Commenti danteschi. Una bella lezione di efficienza, in un Paese dove opere simili (vedi il Dizionario biografico degli italiani o l’Indice dei manoscritti delle biblioteche italiane) iniziano ma non si sa quando e se finiranno. L’idea è «ripulire» il testo dantesco alla luce dei nuovi studi, e fornirne una lettura complessiva e uniforme, ambizione che rende indispensabile un’uscita dei volumi in successione, per così dire, rapida. È possibile che ne esca un Dante un po’ diverso, e che siano illuminate di riflesso anche le epoche successive della nostra letteratura.
La nuova edizione è più che mai ufficiale: ha avuto l’alto patronato del presidente della Repubblica, il patrocinio della presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero per i Beni e le attività culturali. Ma lo Stato, spiega Malato, «non metterà neanche un euro, e del resto nemmeno l’abbiamo chiesto» poiché l’opera è finanziata da due Fondazioni bancarie (Istituto Banco di Napoli e Fondazione Banco di Sicilia).
Non mancano risvolti polemici, sui quali tutti gli interessati glissano. La cronaca del recente passato ha registrato un duro scontro, ancora lontano dal risolversi, all’interno della «Società dantesca», l’ente nato alla fine dell’Ottocento per promuovere l’edizione critica (che è cosa assai diversa da un’edizione commentata) della Commedia e delle opere minori. L’accademia, solitamente compassata, in quei frangenti, non si è fatta mancare nulla: accuse reciproche di voler monopolizzare gli studi danteschi, sedute concluse dall’ingresso della polizia in aula, defenestramenti, scissioni e perfino scissioni interne alle scissioni. Riassumendo, il nodo era il seguente: secondo Malato, che affidò le sue riflessioni a un pamphlet, la «Società dantesca» peccava di immobilismo e di scarsa apertura verso l’esterno. Dall’altra parte, si replicava che andava escluso chi intrattenesse attività in diretta concorrenza con quelle dell’istituzione fiorentina. Ferite vecchie, i fatti sono del 2006-2007, ma ancora aperte. Inevitabilmente oggi balza subito all’occhio l’estraneità della «Società dantesca» dal progetto del Centro Studi Pio Rajna, anche se alcuni studiosi fiorentini, legati alla Società in passato, sono coinvolti a titolo personale. Il risultato, paradossale, è che oggi di fatto esistono due società dantesche con finalità simili.
Dante suscita reazioni forti dai tempi dei guelfi e dei ghibellini; ma visto il valore scientifico indiscutibile dei contendenti, da una parte e dall’altra, la pax accademica è auspicabile.
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