Placcano. Ah, se placcano! Chi pensa che il rugby dei bambini sia una cosa un po allacqua di rosa, una versione soft delle asprezze del Sei Nazioni, beh: domenica mattina si faccia un giro allArena, il vecchio stadio napoleonico dove giocava lItalia del rugby nel Ventennio, quando il regime si convinse che questo sport (benché proveniente dalla Perfida Albione...) potesse contribuire a scuotere il paese dalle pantofole e dalla poltrona. Erano anni, va detto, in cui immaginare che il rugby potesse essere una faccenda da bambini era unidea folle. Come tutte le idee folli sarebbe arrivato qualcuno a metterla in pratica. Si chiamava, per le cronache, Cesare Ghezzi: che il Signore dei campi labbia in gloria.
Molta acqua è passata da allora sotto i ponti, e molte palle in mezzo ai pali. Oggi il rugby dei piccoli è una realtà. E la Lombardia è in Italia la sua capitale. Sono gli «under» (a partire dagli agguerritissimi microbi della under 6) a fare della nostra regione la più rugbistica dItalia, con più tesserati del Veneto, che della religione ovale è stato a lungo la Vandea.
Domenica mattina, allArena, si celebra uno dei riti classici del rugby elementare: un «concentramento» (chi sarà quel pilone suonato che ha deciso di chiamare così i tornei?), ovvero trecento marmocchi di cinque squadre diverse che si incontreranno in una serie di partite a raffica, una dopo laltra, neanche il tempo di contarsi i bugni sui ginocchi e di farsi allacciare le stringhe dallallenatore. Milanesi, varesotti, monzesi, bergamaschi, tutti insieme. Energumeni nel senso classico del termine, concentrati di energia e di passione in un metro scarso daltezza.
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