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Don Fabio e i suoi nove scudetti

Q uando un lavoratore italiano emigra all’estero e ottiene un grande successo è, per il nostro Paese, motivo di orgoglio e di soddisfazione. E così è stato per Fabio Capello, probabilmente il miglior allenatore che ci sia oggi sulla piazza. Il suo trionfo nella Liga spagnola alla guida del Real Madrid, una delle panchine più prestigiose e perciò più scottanti del calcio mondiale, è stata la classica ciliegina sulla torta del pallone azzurro a conclusione di un’annata strepitosa cominciata col successo mondiale in Germania e proseguita con la splendida vittoria del Milan in Champions league.
Ma anche i migliori hanno qualche difetto. Quello di Fabio Capello è che quando vince vuole stravincere. E così nella trionfale nottata madrilena non si è accontentato di assaporare lo scudetto spagnolo, la rivincita personale sul presidente Calderon, sui giornalisti iberici e su buona parte dei tifosi che, quando i risultati stentavano ad arrivare, lo hanno osteggiato e, spesso, sbertucciato. No, mister Capello si è sentito in dovere di andare a ripescare quei due scudetti - italianissimi - che in seguito alle vicende di Moggiopoli la giustizia sportiva gli ha tolto. «In Italia e qui ho vinto sul campo, regolarmente. E sento tutti miei i nove scudetti della carriera da allenatore, compresi gli ultimi due della Juve». E qui, caro Don Fabio, non ci siamo proprio. Quei due scudetti sono stati tolti a lei e alla Juve proprio perché la giustizia sportiva ha dimostrato che il titolo 2004-05 era stato vinto in modo irregolare; quello successivo è stato cancellato per effetto delle pene inflitte alla Juve a seguito delle irregolarità della stagione 2004-05. E quindi Don Fabio la smetta per cortesia di fare la verginella offesa, come Nedved e come altri suoi ex giocatori bianconeri. Lei e i suoi uomini potevate anche non sapere ma non potevate non capire. Basta andare a vedere le ammonizioni e le squalifiche prese quest’anno, a inizio di stagione, da Nedved, Vieira, Ibrahimovic. E Cannavaro è stato uno dei giocatori più ammoniti della Liga: erano abituati a un tipo di gioco e di interventi che, evidentemente, presupponevano un notevole occhio di riguardo da parte degli arbitri.
Lei, Don Fabio, è libero di contestare la giustizia sportiva italiana ma è costretto ad accettarla. Vorrei infine ricordarle che fu l’avvocato Zaccone, legale della Juventus, a dire al presidente Cobolli Gigli che la retrocessione in serie B con una penalizzazione sarebbe stata una «punizione congrua» per ciò che la Juve aveva commesso.

E fu Giampiero Boniperti, uno che certo non può essere accusato di antipatie bianconere, a dire: «Meno male che c’era lui (Zaccone ndr), altrimenti ci avrebbero dato la serie C».
Si goda dunque il meritato trionfo spagnolo, Don Fabio, e lasci perdere quegli scudetti vinti sì sul campo ma in un modo che non fanno onore né alla Juve, né al calcio italiano. Né a lei.

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