Il «Don Giovanni» scritto da Mozart era un’altra cosa

È un’opera misteriosa, piena di «pianissimo», ma alla Scala è stata diretta con energia tonante e proposta con una regia superata di vecchia scuola tedesca

Lorenzo Arruga

da Milano

Chiedo scusa alla compagnia di canto. Accennerò soltanto a loro: d'altra parte sono stati felicemente radunati e sono specialisti: l'espertissimo Carlos Alvarez, Ildebrando d'Arcangelo dalla voce sempre bellissima, la molto efficiente Carmela Remigio, l'insinuante Veronica Cangemi; Francesco Meli ed Alex Esposito, poi, sono due certezze per un eccellente futuro e Monica Bacelli (sostituita alla “prima” da Annette Dasch) riesce con la sua classe a darci sempre un'immagine alta dei suoi personaggi. Lungo le prove, ci si è accorti anche della statura di grande protagonista del secondo Don Giovanni, Erwin Schrott. Ma oggi il discorso urgente riguarda tre altri punti: la direzione, la regìa, la Scala.
Direttore era Gustavo Dudamel. Venezuelano, venticinquenne. Qualcuno ha scritto che viene unanimemente considerato una rivelazione. Diciamo non più di quasi unanimemente, perché non tutti la pensiamo come ci dicono nelle conferenze stampa. Per esempio, a me sembra talentoso, dilettantesco e male indirizzato. È bello che alle conferenze stampa sappia dire che Don Giovanni per lui è la libertà e che un giovane lo sente tanto quanto un anziano. Ma è molto brutto che usi la bacchetta con un gesto perennemente su e giù come un bastone da maresciallo o da majorette, che a ogni insieme o a ogni insidioso cambio di ritmo rischi di staccare da sé qualche cantante. Ed è fastidioso ascoltare un'opera misteriosa di ombre, di sottovoce, di sussurri, di «pianissimo» all'insegna d'una tonante energia. È un bel personaggio, con le sue orchestre ha salvato tanti bambini dalla strada. Ma nessuno ha mai affidato un'opera a Don Bosco, che lo faceva anche di più.
Regista era il loquace Mussbach, che ha messo due alti muri scuri rotanti e un po' stazzonati al posto delle scene, e tutti attorno a correre e agitarsi. Nessun contrasto giorno/notte, intimità/folla, tante esibizioni di gesti fra l'avanspettacolo e il bordello, a ogni manciata di secondi qualcuno che veniva buttato per terra. Tutti quando sono insieme cercano di accoppiarsi. Ci si chiede in che cosa consista la trasgressione del grande libertino, se quello è già l'andazzo. In ogni momento, si dimentica il momento che procede. Non c'è storia, ma sciorinio. Se serve per vendere il prodotto, oggi, in questo ambiente devastato dall'ignoranza e dalla paura di non essere abbastanza moderni, può funzionare, perché non sono in molti ad accorgersi che questa roba è un avanzo della vecchia scuola tedesca di regia. Ma sento il dovere di avvertire quelli che vengono alla Scala, esaurendo il teatro in ogni recita, per il Don Giovanni, che Mozart aveva scritto un'altra cosa.
E qui bisogna onestamente riflettere sulla Scala. Che sta organizzandosi molto bene, ma attorno a che cosa? Sembra ambire a far parte d'un circuito medio-alto, generico, di moda. Questo, in una città fieristica come Milano, può piacere: sembra un aumento di internazionalità.

Per cui bello è lanciare giovani agli inizi, interessante ospitare artisti di formazione diversa dalla nostra tradizione, ma allora bisognerebbe avere una direzione artistica molto competente e molto forte e il coraggio di accettare di non essere più il sospirato punto d'arrivo per gli interpreti, ma una delle più prestigiose rampe di lancio dell'impresariato musicale. Comunque ieri sera il pubblico ha festeggiato tutti, salvo il regista che ha avuto una buona parte di dissensi.

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