Milano - Donatella Versace è una forza della natura, portatrice sana di tutte le contraddizioni che stanno portando le donne a dominare la scena della contemporaneità. Forte e fragile, ironica e seria, capace di sognare ma sempre con gli occhi aperti su quel che succede nel mondo, la bionda signora del made in Italy ha progettato per l’estate 2010 una collezione in tutti i sensi favolosa essendo ispirata da Alice in the Wonderland, il film che Tim Burton sta ultimando di girare sui fiabeschi racconti di Lewis Carroll: Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio.
Su questo tema che dal punto di vista iconografico è ricco di suo, la stilistica ha innescato l’impero dei segni lasciato da Gianni Versace e quello che in questi anni ha creato lei. Insomma le celebri stampe barocche contenevano tutti i simboli del fantastico mondo di Alice (le carte da gioco, il coniglio bianco oppure l’orologio della lepre marzolina) mixati con qualcosa di tribale. Come se questo non bastasse comparivano addirittura sulla plastica utilizzata al posto del tessuto per la più divertente delle minigonne. Tutto era corto, sexy e dinamico come è logico aspettarsi da una griffe disegnata dall’indomabile bionda che trova inconcepibile scendere dai tacchi perfino quando deve salire sul tapis roulant per il feroce allenamento quotidiano e che ieri ha issato le modelle su trampoli da 18 centimetri, l’unica cosa importabile di questa bella moda.
Indimenticabili come e più del solito tutti gli abiti da sera tra cui un poetico modello color glicine con il bustier decorato da innumerevoli catene piatte in metallo lucidato a specchio: un nuovo modo di concepire il ricamo. «Faccio continue ricerche sui materiali, sono la parte solida del mio sogno creativo» ha detto Donatella nel backstage. Certo sulla materia di cui sono fatti i sogni degli stilisti per l’estate 2010 si potrebbero scrivere delle enciclopedie. Per esempio Raf Simons, geniale designer di Jil Sander, ha utilizzato incredibili tessuti giapponesi leggeri come l’aria. Da perdere la testa il vestito da cocktail in tessuto trasparente che sembrava agata e le vere pietre semipreziose trasformate in gioielli-capolavoro da Damiani. Il gruppo produce anche l’alta gioielleria di Gianfranco Ferrè, marchio oggi disegnato da Tommaso Aquilano e Roberto Rimondi. Gravati dal peso di ringiovanire lo storico brand, i due designer per quanto bravi non riescono ad alleggerire quanto vorrebbero l’immagine della donna Ferrè. Per cui l’idea delle architetture invisibili era bellissima a parole, ma poi nei fatti intesi come gonne a palloncino con t-shirt di organza tecnica e scarpe con il tacco fatto dai tubi innocenti di un’impalcatura, non faceva capire una cosa fondamentale: chi si comprerà questi capi tra cui i bellissimi abiti da sera col metallo impastato nello chiffon?
A questa domanda rispondono con classe esemplare Alberta Ferretti ed Ermanno Scervino. La gran maestra della leggerezza intesa come necessità che passa dall’anima al corpo femminile, stavolta ha scritto una pagina memorabile sulle trasparenze: così garbate ed eleganti da far pensare al paradosso di una donna sexy con pudore.
Invece lo stilista che ha trasformato il piumino in un oggetto del desiderio contemporaneo, ha lavorato sul lato fetish di una vera signora magistralmente interpretata in passerella da Natalia Vodianova con i sandali-autoreggenti in raffia e cristalli come la miniredingote nera stretta in vita da un’alta cintura. Sarebbe bastato un frustino in mano oppure una trasparenza in più per togliere garbo a tanto sex appeal.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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