Donne addestrate a uccidere il Dalai Lama

Il Dalai Lama al centro di un complotto per toglierlo di mezzo. Un altro, il secondo negli ultimi cinque mesi. E sullo sfondo - ne parlammo su queste stesse colon­ne a gennaio - i monaci buddhisti e la loro incrollabile, calma deter­minazione nell’opporsi all’inva­sore, allo stato di polizia, alla for­midabile pressione dello stivale ci­nese imposto al Tibet. A rivelare il nuovo piano teso al­la sua eliminazione è stato lo stes­so Dalai lama, premio Nobel per la pace, in un’intervista al Sunday Telegraph . Un piano affidato ad al­cune finte pellegrine incaricate di eliminarlo dispiegando una tecni­ca sopraffina, degna di una sofisti­cata spy story. Con la sua solita flemma, e il sorriso che non lo ab­bandona mai, la guida spirituale dei tibetani ha raccontato delle se­gnalazioni giuntegli dal Tibet se­condo le quali i servizi segreti cine­si avrebbero messo a punto un nuovo piano per eliminarlo. Nel ruolo di killer, proprio per evitare sospetti e riuscire a filtrare tra le maglie del servizio di sicurezza che protegge la vita del leader spi­rituale, sarebbero state alcune fin­te pellegrine tibetane. «Veleni per uccidermi»,ha detto il leader bud­dista. E come? «Attraverso i loro capelli e le loro sciarpe avvelena­te. Queste donne verrebbero a me con la pretesa di essere benedet­te, e col loro contatto infettarmi». Al momento non ci sono confer­me, e del resto non si capisce a chi bisognerebbe chiederle, queste conferme. Se poi dietro il complot­to ci siano davvero le autorità cine­si, o qualcuna delle sette buddiste in aperto contrasto con la leader­ship di Tenzin Gyatso, oggi settan­taseienne, è difficile dire. I prece­denti, tuttavia, dicono che la botta potrebbe venire davvero da Pechi­no. Da quella Cina del capitali­smo rampante e del libero merca­to, della corsa alla Luna e delle sta­zioni spaziali dietro cui si cela il vecchio apparato di potere comu­nista che si regge sui tre formidabi­li pilastri di sempre: il sangue, la tortura, la pena di morte. La prima notizia di un piano te­so all’eliminazione del Dalai La­ma si era avuta nel gennaio scor­so. Allora erano stati i servizi di in­formazione indiani a scoprire gli altarini di un commando compo­sto da­sei agenti cinesi pronto a in­filtrarsi in India per seminare lo scompiglio tra la comunità tibeta­na in esilio e per uccidere il Dalai Lama in occasione di un suo viag­gio a Mumbai, la vecchia Bom­bay. L’implicazione della Cina,na­turalmente, non era stata ufficial­mente accertata. Non sono così sprovveduti, a Pechino. Ma non era stato difficile, per le autorità in­diane, risalire ai mandanti di un complotto che ufficialmente ven­ne attribuito ai seguaci del mona­co Dorje Shugden: una setta di in­tegralisti vecchia di quattro secoli che nella figura del Dalai Lama, esule dalla fine degli anni Cin­quanta a Dharamsala, nell’India settentrionale, vede il suo nemi­co. La ruggine fra i seguaci del quattordicesimo Dalai Lama e gli oltranzisti della setta in seno alla quale sarebbe stato ordito il com­plotto scoperto a gennaio è vec­chia di secoli. Ma solo nel 1996 il premio Nobel Tenzin Gyatso proi­bì il culto del monaco Shugden, descritto come una sorta di Lucife­ro, un po’ angelo e un po’ diavolo. Da allora i contrasti fra le due co­munità non hanno fatto che ap­profondirsi, apertamente sfrutta­ti dalla Cina che soffia sul fuoco e finanzia le attività degli scismati­ci. Non è chiaro quanto reale fosse stato il pericolo corso in quell’oc­casione dal premio Nobel per la pace. Secondo le informazioni fil­trate dall’intelligence indiana, il responsabile dell’operazione sa­rebbe stato un cittadino cinese di origine tibetana, accompagnato da cinque connazionali, tutti «tra­vestiti » da fedeli in pellegrinag­gio. Ma poi la vicenda, per eviden­ti ragioni diplomatiche, e per evi­tare frizioni fra India e Cina, ven­ne coperta dal silenzio.

Oggi, alla vigilia di un viaggio del Dalai La­ma a Londra, dove riceverà il pre­mio Templeton (una sorta di Oscar, dotato di 1,4 milioni di eu­ro, inteso a premiare le grandi ri­cerche spirituali) le trame cinesi tornano d’attualità. Sono sempre le stesse, ma al femminile.

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