Donne asine in matematica? È solo colpa dei pregiudizi

Manila Alfano

Il potere dello stereotipo. Il sesso non ha nulla a che fare con il tipo di intelligenza. La matematica non è mai stata un talento solo maschile. Eppure di fronte a sfilze di numeri, a complicatissime equazioni e formule indecifrabili, le donne si sono sempre tirate indietro. Spesso si sono rifiutate a priori, come se avessero a che fare con un’impresa impossibile, più grande di loro appunto, come se un muro si intromettesse tra loro e la materia. Praticamente l’associazione ci sfugge quasi automaticamente: intelligenza razionale? Uomo. Intelligenza sensibile? Donna. Eppure con la musica, che pur si basa sugli stessi principi, si sono sempre sentite a loro agio. E allora perché?
La spiegazione arriva direttamente da una ricerca fatta da due psicologi della University British Columbia a Vancouver, Canada, che svela l’arcano: che la donna sia «meno portata» per le materie scientifiche è solo ed esclusivamente un pregiudizio culturale a cui le donne si sono sottomesse per secoli. Ma non solo: secondo i due psicologi le teorie che difendono la predisposizione maschile innata nei confronti dei numeri accrescono il senso di inadeguatezza delle donne, tanto da renderle realmente meno capaci. Uno stereotipo che è diventato una condanna, che ha creato come un senso di inferiorità nei confronti della mente «al maschile», che ha impigrito la mente femminile di fronte a problemi e calcoli come una malattia, come una disparità irraggiungibile. La mente matematica delle donne tenuta a bada, insomma, da un pregiudizio culturale, come se i numeri fossero un universo solo maschile e le donne figlie illegittime di un’equazione minore. La scoperta poi arriva nel momento più opportuno. Da quando il presidente della facoltà di Harvard, Lawrence Summers, aveva sentenziato che il talento scientifico delle donne non poteva essere paragonato a quello degli uomini, il dibattito infuriava. Psicologi, femministe, scienziate e matematiche difendevano l’uguaglianza; per loro, ostinarsi a distinguere l’intelligenza sensibile da quella razionale non era che un retaggio culturale da cancellare il più presto possibile. Per il loro esperimento, i due psicologi hanno reclutato 120 donne dell’età media di 20 anni, le hanno divise in gruppi e sottoposte ad un test: due esercizi di matematica separati da un test di comprensione. Il trucco era proprio nel test di lettura. Ogni gruppo di donne ha ricevuto un saggio diverso utile per superare la prova. Uno sosteneva che le differenze di abilità matematica tra uomini e donne sono di origine genetica. L’altro che dipende dall’esperienza, il terzo che non esistono differenze vere e proprie.
Il risultato è stato pubblicato venerdì dalla rivista Science. I tre gruppi hanno realizzato un punteggio simile nel primo esercizio, ma le donne che avevano letto il saggio che proponeva la teoria genetica hanno fatto peggio il secondo esercizio. «Lo studio dimostra che la minaccia degli stereotipi si può ridurre, o addirittura eliminare», ha spiegato Julio Garcia, uno psicologo dell’Università di Yale.

«Tutto questo offre anche una lezione per gli insegnanti, che spesso hanno adottato due pesi e due misure nei confronti di maschi e femmine», continua Sue Rosser, una zoologa del Georgia Institute of Technology di Atlanta. Ovviamente il dibattito non si fermerà qui, ma ora almeno si sa che di fronte ad un test, sarebbe molto meglio non pensare ai propri geni, e forse il punteggio finale potrebbe addirittura migliorare.

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