Donne, la battaglia va combattuta all’interno dei partiti

Tiziana Maiolo

Paolo Guzzanti sta cercando una «vecchia femminista»? Eccola qua. Io ci sono, ma lui non mi vede. Perché non mi vede? Perché non sono lì, al suo fianco, a votare la quote rosa. Faccio parte di quella schiera di donne che non sono Thatcher né Meyr né Merkel e che, di conseguenza, sarà meglio si occupino di ricamo e cucito a casuccia loro.
Del resto è invidiabile la posizione del caro amico Paolo, che ha la fortuna in Parlamento di vedere seduti accanto a sé (o di fronte) tanti De Gasperi, Kohl, Churchill. E di conseguenza ha ragione a suggerire a Berlusconi di candidare sì molte donne, nel 2006, purché si tratti di donne capaci e non di cretine. Siamo totalmente d’accordo: nel regno della meritocrazia non c’è posto per gli asini, di qualunque sesso siano, Questo è dunque il problema. Ti ricordi, caro Paolo, il film Indovina chi viene a cena? Per quei signori benpensanti alla fine il fidanzato della figlia poteva anche essere nero, purché bello (e che bello era Sidney Poiters!), ricco e con due lauree. Così deve essere la donna in Parlamento.
Ovviamente ciò vale anche per gli uomini, lo posso affermare con la sicurezza che mi deriva dall’esperienza personale. Che emozione ho provato per dieci anni nel sentire quei discorsi alati provenire dai banchi di vecchie maggioranze e opposizioni! E che rigore da parte di tutti i partiti nel selezionare i candidati. Tutti uomini con quoziente intellettivo intorno a 200. Certo, in Parlamento non è fondamentale per tutti l’uso del congiuntivo, ad esempio. Massimo D’Alema ne è da tempo stato esonerato dal suo partito. Neppure è fondamentale per tutti, pur in sistema ancora maggioritario, essersi mai fatti vedere nel collegio di elezione. E l’esperienza politica? Cosa superata. Saper parlare? Spesso meglio tacere. Presentare proposte di legge? Tempo perso. Autonomia di pensiero? Qui la questione si fa delicata. Anche De Gasperi e Churchill è bene sappiano stare al loro posto.
Via le donne, dunque, abbasso le quote. Però non prendiamoci in giro. E non raccontiamo favole. Non è affatto vero che nei paesi occidentali la politica delle quote sia stata abbandonata. È vero il contrario, come dimostrano le elezioni amministrative in Francia, dove il 47% degli eletti-e è donna; come dimostrano la Spagna, l’Austria, la Germania e tutti i paesi del nord Europa. Potrei parlare dei tanti paesi africani e anche di quelli sudamericani ( 25% di donne in Parlamento in Paraguay). È un’esperienza che ho fatto al Cedaw, l’organismo dell’Onu che si occupa delle discriminazioni nei confronti delle donne e che si compone di 180 Stati, tra cui l’Italia, che ha firmato nel 1985 una convenzione in cui assume diversi impegni, tra cui la promozione delle donne in politica. Sono impegni che riguardano solo il ministro Prestigiacomo dunque?
Lo confesso, non sono mai stata a favore delle quote. Non per i motivi ogni giorno snocciolati dagli uomini, ma perché penso che la battaglia vada fatta all’interno dei partiti. Ma devo ammettere che solo nei paesi in cui è stata fatta questa politica (che, ovviamente, rappresenta una fase transitoria) le donne sono entrate nelle istituzioni.
Perché in Italia è difficile? Perché gli uomini non ci credono, e non sopportano di sentirsi dire Fatti più in là. La strada è lunga, ma ce la faremo. Non mi si venga a dire che i nostri parlamentari hanno votato contro solo per non umiliare le donne. Hanno votato contro perché considerano il loro posto intoccabile (ma molti saranno invece toccati, eccome!). Perché sono dei barbari in grisaglia. Perché non sono uomini ma omiciattoli, incapaci di una visione politica che vada oltre il proprio ombelico.
E basta con la storiella che le donne non votano le donne: è una stupidaggine mai provata da nessuno. E io posso dimostrare al contrario quanti voti di donne hanno consentito nelle recenti elezioni regionali di eleggere una donna in Lombardia.

Per concludere, io sto con le femministe americane, che un giorno dissero non ricordo a quale Presidente: la nostra rivoluzione sarà conclusa non quando semplicemente sarà Presidente degli Stati Uniti una donna, ma quando sarà Presidente degli Stati Uniti una donna stupida.

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