«Il doping? Lo fanno tutti, anche studenti e manager»

da Bosa (Nuoro)
«Come vuole che stia, mi sento come quelle persone che sono state accusate di pedofilia a Rignano Flaminio. Mi hanno chiamato per sapere se ero stato arrestato, perché questa ad un certo punto era la notizia che circolava al Giro d’Italia. Io ho semplicemente risposto al telefono, non a tutti, e ho detto sono a casa, sto bene, pur sapendo di non stare affatto bene».
Luigi Cecchini, 63 anni, medico sportivo, racconta così la sua domenica bestiale, anche se non è da ieri che la sua posizione è critica, che il suo nome salta fuori non appena si parla di pratiche non lecite legate al mondo del ciclismo.
«La mia colpa? Aver conosciuto Eufemiano Fuentes, figura centrale di tutta la vicenda “Operacion Puerto”».
Dottor Cecchini, ma in questo ultimo periodo non è stato contattato da nessuno del Coni o da qualche procura?
«Qualche anno fa subii una perquisizione a casa mia legata alla vicenda dei Giardini Margherita, poi anche in quella occasione calò il silenzio: la questione fu archiviata. Oggi sono tirato in ballo solo dai giornali. Io non ho mai visto o sentito nessuno».
Facciamo un passo indietro: che idea si è fatto della vicenda di Ivan Basso?
«Premetto che io con Ivan non lavoro più da quattro anni. Da quello che ho letto sui giornali io sarei stato il mandante, colui che l’ha indirizzato e spedito nelle braccia di Eufemiano Fuentes. Conoscendo il ragazzo non penso che possa aver detto una cosa del genere».
Da anni opera come preparatore-allenatore: che tipo di corridore è Basso?
«È un talento, un vero fuoriclasse: Ivan ha un motore di primissimo livello. Questa è la realtà, non si può far passare un atleta del suo valore, come un prodotto di laboratorio».
Quanti corridori segue attualmente?
«Diciamo cinque, tra i quali Damiano Cunego e Alessandro Petacchi. Gli altri nomi non li faccio: non tutti gradiscono che si sappia».
Con Riis lavora ancora?
«Sono anni che non lavoro più con Bjarne. Ormai lui fa tutto da solo: team-manager, allenatore e preparatore».
In questo ultimo anno non ha mai pensato di mollare tutto?
«Sì, non glielo nascondo, anche se poi mi sono detto: e perché mai dovrei scappare? Questa è la mia professione, ma soprattutto la mia passione».
Ha avuto Ivan Basso, oggi ha Damiano Cunego: chi è dal punto di vista fisiologico il migliore?
«Sono due corridori dalle caratteristiche molto diverse, ma posso dirle che sono due atleti di assoluto valore, di primissimo piano, due veri campioni».
Che idea si è fatto del doping?
«Il doping c’è ma non è solo nello sport, è in tutta la società. Tutti i giorni ci sono uomini, donne e purtroppo anche ragazzini che si dopano. Ci si dopa per andare al lavoro, per studiare, per fare affari, per essere più reattivi e accettati. Una cosa però è certa: io con il doping non centro assolutamente».
Ha più sentito Fuentes?
«Sono anni che non lo sento».


Si è letto che anche Michele Scarponi, altro corridore che ha deciso di collaborare con la giustizia sportiva, avrebbe fatto il suo nome...
«Vivo un incubo, fatto di voci e calunnie. Scarponi non lo conosco neanche. Mi davano già per arrestato, vivo invece nella libertà di casa mia, come se fossi già in gabbia: non è una bella sensazione. Mi creda».

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