La doppiezza di D’Alema su Hezbollah

Arturo Diaconale

Non contento di fare il saccente in casa, Massimo D'Alema si è messo a farlo anche in trasferta. Al Cairo, dopo un incontro con il presidente egiziano Mubarak, si è soffermato con la stampa italiana al seguito. E ha spiegato che ancora una volta la «guerra ha alimentato i terroristi e gli estremisti». Ora, è indubitabile che agli occhi dei settori più integralisti e fanatizzati del mondo islamico, gli hezbollah foraggiati dalla Siria e diretti dal regime komeinista iracheno siano usciti dal conflitto libanese con l'aureola della vittoria. Aver colpito per giorni e giorni Israele con missili siriani e iraniani è, per chi è stato educato al mito della distruzione dello Stato ebraico, un risultato straordinario.
Ma il punto è un altro, ossia il giudizio politico che il ministro degli Esteri, a nome del governo italiano, riserva all'organizzazione degli sciiti fondamentalisti libanesi. Affermando che la guerra israeliana, così come quella all’Irak, è servita solo a rafforzare i terroristi e gli estremisti, D’Alema giudica gli hezbollah estremisti e terroristi. Ma se il giudizio nei confronti dei presunti vincitori del conflitto libanese è così netto, perché mai il ministro degli Esteri italiano fa di tutto per blandire, trattare e riconoscere il massimo ruolo politico al Partito di Dio e dei terroristi filo-komeinisti?
Nel recente viaggio a Beirut, D'Alema non solo non ha evitato qualsiasi contatto con gli esponenti hezbollah ma lo ha appositamente ricercato e valorizzato. Nella sua visita al quartiere sciita della capitale libanese bombardato dagli aerei israeliani, D’Alema è stato preso sottobraccio e accompagnato dal rappresentante degli hezbollah Hussein Hhaji Hassan. E mentre lui esprimeva ai giornalisti italiani e stranieri il suo raccapriccio per le vittime civili e le distruzioni provocate dagli israeliani preannunciando l'impegno del nostro Paese a partecipare alla forza internazionale dell'Onu (che dovrebbe garantire il disarmo delle milizie del Partito di Dio), Hassan comunicava agli stessi giornalisti che gli hezbollah non hanno alcuna intenzione di deporre le armi.
Perché, allora, D'Alema da un lato giudica terroristi ed estremisti gli hezbollah e dall'altro li considera interlocutori privilegiati nel quadro libanese, facendo capire loro che i soldati italiani della forza multinazionale dell’Onu non pretenderanno il loro disarmo ma si preoccuperanno solo di tenere a bada le truppe israeliane?
Gli amici del responsabile della Farnesina fanno capire che la «doppiezza dalemiana» serve a garantire la futura forza di pace italiana dislocata in Libano da eventuali attacchi da parte degli stessi hezbollah. Ma la preoccupazione principale del leader diessino riguarda la politica interna italiana. Come garantirsi l'appoggio della sinistra antagonista antiamericana, antiisraeliana e amica degli hezbollah nei prossimi passaggi parlamentari ed evitare la crisi di governo? Semplice. Dimostrare concretamente che il governo italiano è dalla parte dei terroristi e contro Israele. Se non fosse stato così D'Alema avrebbe approfittato della passeggiata sottobraccio con Hassan per chiedergli di rimuovere la prima causa del conflitto libanese d'agosto consegnando all'Italia i due soldati israeliani rapiti dagli hezbollah. Ma i rapporti con i Comunisti Italiani, i Verdi e Rifondazione comunista sono per il rappresentante della Farnesina la cosa più importante.

E al posto di una richiesta che avrebbe marcato concretamente «l'equivicinanza» italiana, si è avuta la prova provata che l'Italia del centro sinistra tratta e simpatizza con i terroristi.

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