Dorelli: «A Sanremo per imparare»

nostro inviato a Sanremo

Una mano. Tesa verso l’obiettivo, quasi a nascondere il viso che ha un’espressione rigida, corrucciata. Johnny Dorelli veste lo smoking e sembra voler respingere il fotografo. C’è molto, forse tutto, in quest’istantanea di Giorgio Guidi da Meda, il ragazzino che suonava il pianoforte ma saliva sugli alberi nel cortile della Pro Meda, insieme con Serafino, compagno di giochi all’oratorio: «El veniva dall’America e mi fregava tutte le regasse che impazzivano per lui, biondo e sempre ben vestito. Allora gli strillavo: Giorgio, pistola, torna in America. Quando andò a Sanremo con l’Immensità gli dissi: guarda che con quèla cansùn te tiran i sass!». Un trionfo. Serafino Novati è macellaio in Meda, sito natale di Giorgio Guidi che qui in via Indipendenza strappava cuori e studiava pianoforte per diventare Johnny Dorelli, artista della musica come suo padre Giovanni emigrato negli States e ivi divenuto Nino D’Aurelio (va da sé che gli yankees pronunciavano quel cognome Daourèli e quindi...).
Ieri sera grande ritorno al festival per questo signore vero che ha una certa età, recita in teatro, ha girato film in numero di quarantatré. «Alcuni li vorrei cancellare, involontari scivolamenti. Perché, lo sa? Io sono un perfezionista, voglio migliorare, non guardo al passato, mi aggiorno».
Parlare, incontrare, intervistare anche, Dorelli è come camminare al contrario su una giostra del luna park. Ma la fatica, si fa per dire, è giustificata, sono mille le api che gli ronzano attorno: «Guardi qui, scattano fotografie con i telefonini, sbucano da ogni dove, non ho aria, non ho spazio». Lo marca a distanza Gloria Guida, più bella e leggiadra che pria: «Dicono che io sia stato uno sciupafemmine: controlli, ventotto anni con Gloria, nove con l’altra moglie, undici con la prima. Tirate di conto e ditemi quante femmine avrei sciupato». Sorride anzi ride, la signora Guidi-Guida è seduta su un divano più in là e fa un cenno con la testa biondissima. Ieri sera stava in prima fila, mentre Johnny cantava Meglio così, con la gente dell’Ariston tutta in piedi. «La famiglia, le donne sono tutto per me. Mia madre poi». Le ha dedicato l’ultimo cd, quello della foto di cui sopra: «Ha 89 anni, Teresa è dolcissima. Una settimana dopo la mia vittoria a Sanremo nel ’58 morì mio padre, di ictus. Da quel giorno cambiò la vita di mia madre e anche la mia, mi ritrovai con tre donne, nonna Pasquina, mia sorella Yvonne e mamma». Yvonne nata in America, non ditelo a Serafino: «Macché Yvonne, l’Ivana e basta».
Quarantanove anni orsono, Sanremo, sempre il festival, sempre la Rai: «Mio padre andava al casinò con Modugno, io non avevo ancora ventun anni, restavo in albergo, il Nazionale. Al casinò andavano anche con Di Stefano. Giuseppe Di Stefano, che ricordi. Mi portava al Metropolitan di New York, mi mettevo nella buca degli orchestrali e l’ascoltavo, il paradiso».
Gli regalo una fotografia d’epoca, anno 1949, fu scattata a Coney Island: c’è una vecchia automobile scoperta a bordo della quale quattro tipi allegri con la faccia al vento, Giuseppe Di Stefano al volante, al suo fianco la moglie Maria, alle spalle, seduti sul sedile posteriore ma proprio sopra il sedile Teresa e Nino Dorelli-D’Aurelio-Guidi: «Un colpo al cuore, bellissima, guarda che bella la mamma».
Johnny Dorelli è bello fresco, vivace, soltanto adesso però, dopo le prove, perché prima dovevate vederlo, nemmeno immaginarlo, già in partita, sudato, il mal di stomaco, il caldo, le api a ronzare, i giornalisti, le telecamere, i fotografi. Avrebbe voluto lanciare una bomba, lui che con la bomba ci ha vissuto di rendita, ah ah. Così proprio canticchia, davanti al bar. E continua: «Non mi piacciono i complimenti, non amo gli sdolcinati. Io ho un brutto carattere, sono esigente e quando dico stop è stop. Ho un elastico che si allunga ma non si spezza». L’elastico lo ha portato a Sanremo: «Perché mi piace, perché non cerco trofei, perché Ferrio e Calabrese sono due fenomeni e invece leggo sui giornali soltanto le loro età e la mia, che barba. Eppoi l’esecuzione di stasera con Bollani al pianoforte, sentirete. Con gente di questo calibro io dovrò stare ben sveglio».
Oggi soltanto canzonette ma allora? «Anche allora, qualche stupidata la cantavamo. Amo la musica classica, Mahler, Mozart, i melodrammi della lirica, poi Pino Daniele, Dalla, Gino Paoli. Non faccio politica, hanno cercato in molti di tirarmi dentro, ho cantato a sagre di ogni tipo, diccì, comunisti, destra e sinistra, mai schierato però. Sono un solitario che trova la sua isola del tesoro in camera da letto, di notte ovviamente. Non sono un nottambulo, quello che tira tardi con i compagni, anzi loro non contano mai su di me».

Ha un locale a Porto Rotondo, da trent’anni è proprietario del Country: «Ci sarò andato quattro o cinque volte, non è la mia vita quella. È vero Gloria?». Fino a sabato farà tardi. Tardissimo. Con Serafino davanti alla tivvù.
Tony Damascelli

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