Dorothea Lange, una ritrattista nella Storia. Le sue fotografie raccontano l'America

In mostra fino a ottobre gli scatti anni '40 e '50 dell'artista

Dorothea Lange, una ritrattista nella Storia. Le sue fotografie raccontano l'America
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Era una ritrattista Dorothea Lange (1895-1965), la grande fotografa statunitense alla quale il Museo diocesano Carlo Maria Martini dedica un'importante mostra monografica da oggi e fino al 19 ottobre, con centoquaranta scatti che documentano l'apice della sua carriera, negli anni '40 e '50 del Novecento, quando Dorothea entra nella Storia, dopo aver deciso di lasciare la sua attività privata per dedicarsi a ciò che vede intorno a sé e oltre sé. La Grande Depressione e la condizione dei giapponesi americani dopo l'attacco di Pearl Harbour sono gli argomenti più declinati nell'esposizione, frutto di viaggi al seguito di attività del governo americano.

Dirà della poliomielite, che l'aveva colpita quando era ancora una bambina, figlia di una famiglia del ceto medio del New Yersey immigrata dalla Germania, che era stata una fortuna e, nonostante le sofferenze, c'è da crederle, per il coraggio di una vita e di un lavoro che le regala grandi soddisfazioni a costo anche di scelte difficili. Il celeberrimo libro di John Steinbeck, «Furore», nasce anche grazie alle fotografie di Dorothea.

La passione per il reportage sui grandi fatti del mondo la avvince da subito, ma terminati i soldi dopo un viaggio apre uno studio personale a San Francisco. Lo lascerà appena arriva la chiamata dalla realtà, i grandi fatti che sono come la zona d'ombra di un Paese che vive un momento di faticosa ripresa, dietro la quale però si celano grandi e allora poco evidenti contraddizioni. La sua fotografia «Migrant Mother», diventata un'icona, è stata realizzata nel 1936 e documenta le condizioni di vita di una madre di sette figli, di trentadue anni, povera, emigrata in California a raccogliere piselli, che aveva chiesto alla Lange di non rivelare mai chi fosse, per non mettere in difficoltà il futuro dei bambini.

Un altro tema sul quale si concentra l'occhio fotografico di Dorothea Lange sono le condizioni degli americani di origine giapponese il giorno dopo l'attacco di Pearl Harbor da parte del Giappone, che nel 1941 segna l'inizio della seconda guerra mondiale per gli Stati Uniti. Dorothea volge ancora una volta l'attenzione alle vittime meno evidenti, gli statunitensi giapponesi che diventano vittime di esclusione e allontanamento dalle case e dai luoghi di lavoro.

Una delle cose che più colpisce guardando le fotografie in sequenza è che, pur restando fedele al luogo e al tempo storico in cui sono state scattate, la Lange (il cognome della madre, preso dopo che il padre aveva lasciato la famiglia) riesce a cogliere la bellezza che sopravvive al di là della contingenza difficile. Come spiegano i curatori della mostra, Walter Guadagnini e Monica Poggi, «è centrale nella storia della fotografia anche per la sua capacità di raccontare la tragedia umana attraverso un raffinato senso estetico, che oggi ci permette di considerare il suo lavoro sia sotto il profilo documentario che artistico».

Nadia Righi, direttrice del museo, si concentra sul modo in cui l'opera della fotografa parla ancora: «I temi toccati nei suoi scatti sono di estrema attualità: la povertà, il fenomeno delle migrazioni, la dignità dell'uomo, l'esigenza di giustizia, il coraggio di lottare per cambiare ciò che è sbagliato e ingiusto. Con delicatezza e decisione Dorothea racconta una parte poco nota della storia americana, attraverso gli sguardi delle persone».

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