Roma - L’articolo 18 è un’anomalia tutta italiana (anche se, almeno per il momento, è bene che resti fuori dal tavolo con il governo). Non è vero che nel Belpaese c’è un eccesso di flessibilità per chi entra nel mondo del lavoro. Così come non è vero che ci sono troppi contratti. Ieri al ministero del Lavoro è stato il giorno di Emma Marcegaglia. La presidente di Confindustria si è presentata all’incontro con Elsa Fornero armata di un dossier nel quale si evidenziano le peculiarità e si smontano luoghi comuni sull’Italia.
Ad esempio sul lavoro temporaneo. Da noi riguarda il 12,8% degli assunti. Ce ne sono meno solo in Danimarca e nel Regno unito, dove i contratti sono comunque meno vincolanti per il datore di lavoro. Noi siamo sotto la Germania e la Francia, che hanno rispettivamente il 14,7% e il 15% di contratti a termine. In Spagna sono il 24,9%. Le anomalie italiane riguardano semmai la spesa per gli ammortizzatori sociali, che è tra le più basse. E il tasso di occupazione al 56,9%, il più basso d’Europa.
Poi l’articolo 18. Nel Regno Unito, Germania, Francia e Danimarca, il datore di lavoro non è obbligato a reintegrare il dipendente illegittimamente licenziato. In Danimarca, Germania, e Francia non ci sono limiti ai rinnovi dei contratti a termine. Meno severe anche le leggi che stabiliscono quale licenziamento sia illegittimo. In Danimarca è tale solo se fondato su circostanze arbitrarie, per motivi di religione, razza o origine etnica e come risultato dell’acquisizione di un’impresa da parte di un’altra. In Germania, invece, il licenziamento legittimo si basa su fattori inerenti la capacita o le qualità ovvero la condotta del lavoratore oppure per motivi economici. In Francia viene giudicato illegittimo il licenziamento che non abbia motivi reali e seri.
Nonostante il dossier, Marcegaglia ha precisato che in questa trattativa non cercherà di introdurre il tema dell’articolo 18. «È ideologico e oggi non vogliamo affrontare questo argomento». Anche se «in alcuni Paesi il reintegro viene utilizzato solo in caso di licenziamento discriminatorio, come, ad esempio, previsto in Francia». Una delle proposte di riforma dell’articolo 18 punta proprio sul rendere esplicito il divieto di licenziamenti discriminatori e rendere possibili quelli per ragioni economiche. Una richiesta in questo senso viene direttamente dall’Unione europea e, prima o poi, il governo dovrà necessariamente metterci mano.
Marcegaglia lo sa. Ed è per questo che lancia un messaggio alla Cgil: «Noi ci sediamo a questo tavolo senza ideologia con grande senso di responsabilità e grande apertura. Ci aspettiamo che anche le altre parti sociali abbiano lo stesso atteggiamento perché se partiamo tutti dicendo “se si tocca questo salta tutto” allora noi potremmo dire che se cominciamo a parlare di forme di riduzione di flessibilità in entrata noi ci alziamo». In altre parole, il tema dei licenziamenti economici resta sul tavolo. Non si chiamerà articolo 18 e non si affronterà in apertura del tavolo. Non con il premier Mario Monti in piena trattativa con l’Ue.
Poi Confindustria non vuole buttare via i segnali di disponibilità dei sindacati, compresi quelli che vengono dalla Cgil.
Martedì sera l’incontro al Quirinale tra Susanna Camusso e Giorgio Napolitano (accolto con ironia piccata dalla Cisl che, su Twitter ha ripreso, rovesciandola su Camusso, la polemica sui «solisti stonati»). Ieri un direttivo Cgil che ha aperto la strada ad una piattaforma comune con Cisl e Uil. Per una volta che il sindacato della sinistra sembra essere disponibile ad una riforma, Confindustria non vuole perdere il treno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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