Il dossier insabbiato fa tremare il Pd

Gli accertamenti della security Telecom sui conti Ds che a Londra confluivano in Oak Fund portavano a D’Alema e Fassino. Veltroni sindaco spendeva 12 milioni di euro per il suo staff

Il dossier insabbiato fa tremare il Pd

Il lungo filo rosso dei (presunti) fondi esteri dei Ds, venuto alla luce nell’inchiesta Telecom col dossier «Oak Fund» (fondo quercia) redatto dall’investigatore privato Emanuele Cipriani su input del capo della security Giuliano Tavaroli, viene spezzato dalla Procura di Milano quando si faceva ancora in tempo ad indagare. E cioè, sei mesi prima dell’entrata in vigore della Legge Mastella che prevede l’invio al macero di tutti i dossier assemblati illegalmente. Ora che il gip ha tirato le orecchie ai distratti pm, l’argomento delle presunte tangenti a esponenti Ds collegate alla scalata di Colaninno in Telecom torna d’attualità. Per venirne a capo occorre premettere che sui politici non se n’è potuto sapere di più poiché i pm, oltre a non voler mettere a verbale i nomi fatti da Tavaroli e Cipriani (almeno stando alle versioni degli interessati), hanno evitato anche di capire se l’immenso materiale sui Ds sequestrato a Cipriani fosse buono, in parte buono, oppure carta straccia. Secondo quanto raccontato ai pm (12 aprile 2007) dall’ex capo della security di Telecom, Tavaroli, gli accertamenti su Oak Fund nascono quando si profila l’ipotesi dell’acquisto Olivetti presso la finanziaria lussemburghese Bell, per capire se fosse presente una componente del management Telecom che, attraverso Oak Fund, avesse lucrato sull’acquisto di Olivetti. Dice Tavaroli: «L’operazione però si ferma quando viene accertato che il fondo Oak riguarda esponenti di un partito dell’attuale maggioranza» nonché un reticolo finanziario che fa capo a società e prestanome dei Ds. Nell’interrogatorio successivo (31 maggio 2007) Tavaroli aggiunge che Tronchetti, nel gennaio 2006, gli chiede conferma se nei dossier vi sono indagini sui politici. «Gli dissi di Oak Fund (...). Il presidente si inquietò chiedendomi conto di questo incarico, io gli rammentai che si trattava di un’operazione del 2001 per conoscere gli azionisti di Bell». L’ex capo delle security di Telecom rammenta inoltre che se effettivamente «nell’agosto del 2001 al festival dell’Unità di Rimini, D’Alema aveva attaccato frontalmente l’operazione di acquisito di Tronchetti, proprio grazie alla mia mediazione che si è snodata attraverso i contatti con Lucia Annunziata e quindi Nicola La Torre e infine D’Alema, nella primavera 2002 i rapporti fra Tronchetti e D’Alema erano assolutamente cordiali». Incassato il patteggiamento a 4 anni e mezzo, definitivamente fuori dal processo, Tavaroli si sente libero di parlare. E a Repubblica confessa tutta un’altra storia. Accusa Tronchetti di avergli commissionato l’indagine sui Ds per capire se erano girate tangenti nell’acquisizione di Colaninno, e poi entra nel dettaglio del dossier «Baffino», così etichettato in azienda: «I soldi hanno viaggiato nella pancia di 300 società in giro per l’Europa per poi approdare a Londra nel conto dell’Oak Fund cui erano interessati i fratelli Magnoni (che hanno smentito, ndr) e dove avevano la firma Nicola Rossi e Piero Fassino (che ha annunciato querela, ndr). Queste cose le ho dette anche ai pm che mi hanno interrogato. Loro mi dicevano: non scriviamo i nomi nel verbale, diciamo esponenti politici...». Altro personaggio che viene invitato a non fare i nomi dei politici è l’autore del dossier, l’investigatore privato Emanuele Cipriani. Interrogato in tempi non sospetti, nel lontano 28 marzo 2007, Cipriani rivela che «Tavaroli mi invitò a svolgere investigazioni sull’Oak Fund, dicendo che avrei dovuto verificare se dietro c’era un partito politico». Tavaroli fece riferimento «al partito del Pds» e «mi chiese di rivolgermi all’investigatore svizzero John Poa, da me solitamente utilizzato per le investigazioni all’estero». Che durano mesi. E che sono continuamente aggiornate da report «con documentazione societaria e bancaria» reperita in Belgio, Olanda, Svizzera, e paradisi fiscali. Man mano che il dossier prende consistenza Cipriani si rende conto «che si trattava di informazioni straordinariamente riservate che John Poa poteva aver avuto attraverso proprie conoscenze che riuscivano ad ottenere consegne indebite della documentazione». Quanto ai soggetti «italiani» coinvolti, l’investigatore osserva che sono tutti emersi da «sue» indagini. A un certo punto, però, Cipriani fa presente al pm che lo interroga che fra il materiale che gli viene sottoposto manca «uno schema particolarmente approfondito di tutti i passaggi che dimostravano la riconducibilità del fondo a determinati soggetti, e non trovo un documento che indicava un noto soggetto politico», che nell’interrogatorio (che è registrato) Cipriani dice essere Massimo D’Alema. Il documento, però, «in parte è macchiato». Non si legge bene. Per capire come mai non si trovano i pezzi di carta cui fa riferimento l’investigatore bisogna correre poche righe più avanti, ma solo dopo che Cipriani ammette d’aver relazionato l’esito delle indagini a Tavaroli («che mi disse di averle riferite a Tronchetti Provera», il quale però ammette solo d’aver invitato Tavaroli a rivolgersi in procura «perché le chiacchiere da bar su Oak non mi interessavano») e pure a Marco Mancini, capo del controspionaggio del Sismi, suo ex coindagato. A pagina 4 del verbale finalmente il riferimento al filone Ds, rintracciato dalla polizia giudiziaria, compare: «Riconosco negli atti che mi vengono esibiti le seguenti pratiche: Z0048602, da pagina 23821 a pagina 23833, da pagina 23789 a pagina 23802, da pagina 23810 a pagina 23820» e via discorrendo. In questi numeri cifrati, secondo Cipriani, si nasconderebbe il segreto di D’Alema e compagni. Seguendo l’esempio di Tavaroli, anche Cipriani vuota il sacco su Oak lontano dalla procura: «Siamo andati avanti gradino per gradino - denuncia al Fatto Quotidiano -, abbiamo fatto più di 10 report». Il risultato «è un sistema finanziario di altissimo livello, le famose società finanziarie...». Il documento risolutivo, però, sembra essere illeggibile perché macchiato. È un documento ottenuto da una fiduciaria estera di un Paese off-shore. È su carta intestata. «Dentro c’è una frase, se ricordo bene, del tipo: secondo la vostra richiesta vi diciamo che dentro questo conto ci sono queste persone. Sono macchiate le firme degli amministratori della fiduciaria. Quando il pm mi ha detto che potrebbe essere falso, gli ho risposto: peccato che negli ultimi report, tra documenti bancari, telex e carta con le firme macchiate, ci saranno una trentina di allegati». Veri. Come dire: se anche il dossier è falso al 50 per cento, per il restante cinquanta è reale.

Venerdì prossimo il gip aprirà l’udienza per disporre l’eventuale distruzione delle carte top secret. Nonostante la legge Mastella, secondo i legali degli imputati il dossier Oak può ancora vedere la luce. Una speranza c’è, minima ma c’è.

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