«Nomi di politici nella pre-informativa? Tanti. Cerano alcune conversazioni telefoniche, che uno degli indagati principali, tale Ciavarino che noi arrestammo, intratteneva col presidente della commissione Antimafia, che allepoca era il senatore Chiaromonte» del Pci. A molti anni dalla contrapposizione sul famoso dossier mafia-appalti tra carabinieri e procura di Palermo, lautore di quel dossier nato dalle dichiarazioni del pentito Angelo Siino, lex maggiore Giuseppe De Donno, torna sullargomento e fa rivelazioni clamorose. Loccasione per parlare è il processo per diffamazione intentato nei confronti del direttore del Giornale, Maurizio Belpietro, da parte dei magistrati Lo Forte e Caselli. In realtà il procedimento sarebbe anche nei confronti dellautore dello scritto incriminato, il giornalista-senatore Lino Jannuzzi, ma a seguito della dichiarazione di insindacabilità delle affermazioni contenute nellarticolo, il gup di Milano ha sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato avanti la Corte costituzionale.
Ascoltato in tribunale a Milano lo scorso 29 maggio 2007, De Donno rivela lesistenza di una «pre-informativa» con elencati numerosi nominativi di politici nazionali che, a suo dire, venne inviata alla procura di Palermo precedentemente la consegna nel febbraio 91, al giudice Falcone e allallora pm Lo Forte, del più completo dossier «mafia-appalti». Di questa pre-informativa - spiega De Donno - non se ne è più fatto nulla. Proprio dal «ministro dei lavori pubblici» di Cosa nostra, lex ufficiale del Ros parte per confrontarsi ancora una volta con Lo Forte, col quale sera già scontrato in precedenza proprio a seguito delle ondivaghe rivelazioni di Siino. Il pentito, infatti, in un primo tempo (a De Donno) aveva giurato che il dossier era finito nelle mani della Cupola grazie ad alcuni magistrati; in seconda battuta (ai magistrati) precisò che in realtà era stato il maresciallo Antonino Lombardo a passare il documento ai boss. Una querela ha dato vita a più procedimenti penali, tutti archiviati. Ma ora, a sorpresa, il caso si riapre.
Racconta De Donno: tutto nacque quando il Ros individuò in Siino «il punto di riferimento per la gestione illecita di tutte le gare pubbliche» in Sicilia. Indagando su queste gare «vennero fuori tutta una serie di interconnessioni con personaggi politici che allepoca rivestivano anche cariche istituzionali di una certa importanza». Così, continua De Donno, «realizzammo una informativa preliminare che fu consegnata prima della più nota informativa "mafia-appalti" e che indirizzammo al dottor Falcone e al dottor Lo Forte». Il materiale era delicato, da maneggiare con cura. «Per questo lo estrapolammo dal contesto della seconda informativa che comprendeva indagini sulle imprese e sugli aspetti di Cosa nostra».
Su questo snodo cruciale magistrati e carabinieri si sono dati battaglia per anni. Al processo contro Belpietro, De Donno si lamenta che parte della prima informativa, non venne sviluppata e anzi finì per essere smembrata in tante sotto indagini. Poi critica la decisione della Procura - in relazione allarresto di cinque personaggi minori - di depositare al tribunale del Riesame lintera seconda informativa di 900 pagine «senza apporre nessun omissis» su fatti che sarebbero dovuti rimanere segreti e che riguardavano, in qualche modo, anche la «prima, più delicata, informativa che consegnammo fisicamente nelle mani del dottor Lo Forte». Più avanti De Donno aggiunge: «Io non condividevo la linea di lavoro che la procura aveva intrapreso su questa informativa». Allorché il pm gli domanda: «In quelle indagini si poteva anche procedere nei confronti di qualcuno di più importante, quindi dei politici, con il materiale che si aveva già in mano?». De Donno: «Secondo me, sì».
Incalzato dal giudice, De Donno conclude così: «Nomi e cognomi di politici» ce nerano tanti. Di Chiaromonte si è già detto. «Altri?» domanda il presidente. «Cerano tutta una serie di conversazioni con esponenti politici regionali, Mannino, Nicolosi che era il presidente della Regione, di gestioni che noi chiaramente refertammo in quella sede e proprio la presenza del presidente della commissione Antimafia ci indusse a essere un attimino più cauti».
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
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