Roma - «Era mio dovere assoluto salvare la vita di Daniele Mastrogiacomo», e dunque «anche se fosse esistita una norma per cui non si deve trattare, io di fronte alla moglie e al fratello credo che avrei trattato».
Le polemiche e gli strascichi velenosi del sequestro continuano e non accennano a scemare, e Romano Prodi sceglie la strada della rivendicazione aperta: ieri il premier si è fatto intervistare da Radio24, e ha parlato a lungo della vicenda. Dando la propria versione dei fatti, e soprattutto sostenendo che nulla, neppure la legge dello Stato, gli avrebbe impedito di trattare con i talebani e di scambiare l’ostaggio con le loro richieste. E il caso degli ostaggi francesi e degli appelli di Chirac per la loro liberazione (senza annessa lista di prigionieri talebani da liberare, però) viene evocato a conferma della bontà della linea seguita. In Francia «c’è un’opposizione civile, c’è il senso del Paese», e non si fanno polemiche strumentali.
Il premier ha detto di non aver visto il terzo appello lanciato dal giornalista di Repubblica: «A guidare la mia azione - ha spiegato - è bastato il primo appello. Ho capito che c’era un problema di angoscia ed era mio dovere assoluto salvargli la vita. Credo che la volontà di trattare quando è in ballo una vita umana sia nel Dna italiano. Certo, dobbiamo essere severi con chi si mette a rischio, dobbiamo stabilire delle assicurazioni per chi va in zone rischiose, ma quando c’è la vita in ballo... In ogni caso, il mio comportamento non sarebbe stato diverso anche se ci fossero state spinte per non trattare». Ma quelle «spinte», tiene a sottolineare, non ci sono state, durante il sequestro. Né da parte dell’opposizione, e neppure da parte di esponenti della maggioranza e del governo, che pure han fatto trapelare più di un dubbio e di una critica al modo in cui è stata condotta la vicenda. Invece, dice Prodi, nel governo «c’è stato un totale gioco di squadra».
E la principale chiamata in correità, per così dire, il premier la rivolge al suo vice, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema che pochi giorni fa, nell’aula di Montecitorio, aveva invece sottolineato come la regia della trattativa con il governo afghano fosse stata condotta tutta dal Professore in prima persona. «Con D’Alema - scandisce Prodi - le responsabilità ce le siamo prese assieme e lui è stato formidabile: non ha mollato la sua situation room che ha lavorato giorno e notte. C’è stato un totale gioco di squadra con il capo dei servizi sempre qui insieme a noi, e con l’informazione continua dell’ambasciatore a Kabul». Insomma, conclude, «nessun problema» dentro il governo, le grane sono scoppiate solo «quando l’opposizione ha aperto la polemica». Di certo, giura il premier, «io non ho nulla da nascondere», quindi «si faccia» pure una commissione d’inchiesta: ma deve riguardare «tutto, anche i sequestri precedenti».
Quanto all’accusa, rilanciata da Fini, di aver minacciato il ritiro italiano, Prodi è netto: «Con Karzai non c’è stato mai momento in cui siano stati posti problemi o toccati temi come le truppe, mai. Karzai sapeva quanto premeva agli italiani la vita di un italiano». Ma non si è lavorato solo per Mastrogiacomo trascurando le sorti degli ostaggi non italiani (che però sono morti), assicura Prodi: «Le nostre richieste erano sempre state per tutti quelli che erano stati rapiti».
Infine, il premier riserva una stoccatina anche al presidente della Camera (e a quello del Senato) che hanno voluto che il governo si presentasse alle Camere per riferire sul sequestro: «Quando il Parlamento chiama, il governo risponde, ma se ci fosse più razionalizzazione nel lavoro sarebbe meglio».
Ma il bis del dibattito a Palazzo Madama probabilmente non ci sarà: venerdì il governo ha sollecitato il gruppo dell’Ulivo ad intervenire presso Marini e presso l’opposizione per spostare l’informativa di D’Alema, prevista per martedì, dall’aula alla commissione Esteri. In modo - spiegano nell’Unione - da «tenere più basso possibile il volume». La presidente Anna Finocchiaro si è attivata, ed evidentemente ha convinto la Cdl, ottenendo il via libera di Forza Italia.
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