Politica

Dov’è finito Cossiga? Lo strano silenzio del grande esternatore

Dov’è finito Cossiga? Lo strano silenzio del grande esternatore

RomaSono mesi che Francesco Cossiga ha abbandonato le chiacchiere sulla cosa pubblica. Non interviene sulla manovra o sulle storie del ’93. Non commenta, non straborda, non concede interviste, non ci illumina con quelle arguzie e quel modo sottile di interpretare gli affari del nostro tempo. E così gli altri si chiedono, si interrogano, cercano di interpretare il non detto del presidente. Come se fosse un giallo, un’anomalia, un’assenza ingiustificata, senza risposte.
Ci sono dei giorni nei quali il sole non riscalda. Non assomiglia per niente allo star depressi, anzi. Magari l’umore cupo s’annida proprio in certi miglioramenti del fisico che pure non ammettono sorrisi: la vita appare allora per quel che è, nuda e cruda e senza orpelli. In quei giorni, quando si sta allo specchio, non ci si vede fatti della stessa materia dei sogni. Si rinuncia a parlare, non ci si diverte più ad analizzare il mondo degli uomini, e la politica di cui è intessuto. Non ci si diverte più, e forse si è pure incavolati con il mondo.
Eppure un sogno, in questi mesi di silenzio interminabile, il presidente Cossiga l’ha fatto. Forse non era lui, forse era il sogno di un altro. Un signore che legge i giornali su internet, e poi naviga incessantemente come un Odisseo che non riesce più a ritrovare la sua Itaca. Era un sogno che cominciava bene, con tutte le migliori intenzioni del mondo, e quel signore curava le sue povere caviglie percependone lo sgonfiarsi man mano che la speciale cyclette ai piedi della sua poltrona ruotava in avanti. Ma il fatto era, purtroppo, che gira e gira si restava sempre lì, allo stesso posto, sulla stessa poltrona.
Aveva ancora la testa alla politica, ma questa politica aveva un sapore sbiadito. Fatta di piccolezze come non mai, di certi fatterelli assai umani, e dunque miseri assai. Debolezze perdonabili, eppure gravi per la società degli uomini e ancor di più per quella di Dio. In quello strano sogno man mano l’atmosfera al principio lieve si fece improvvisamente di nuovo bigia, greve. Come se nel sogno avessero fatto irruzione le tante voci che si rincorrono in questi tempi grami sulla sorte del presidente esternatore, proprio lui, che non esterna più. Ricami sulla salute, per fortuna smentiti dagli intimi, e da chi l’ha visto ancora frequentare la chiesa di San Carlo al Corso non più di poche settimane fa. Voci che fanno tutt’uno con i fantasmi del ricordo, della stagione interminabile che lo vide salire agli altari e quindi precipitare nello sconforto quando fu la vita di Aldo Moro a precipitare. Assurgere poi al soglio del Quirinale e tacere per anni, ricordato soltanto da una serie di vignette d’opposizione, cupo e sempre chino a scrivere su una scrivania, sotto l’implacabile e ironica scritta: «Il signor Cossiga Francesco...». E infine ancora la stagione d’oro del Piccone che non faceva sconti, ma anticipava fatti e misfatti d’Italia.
Era uno strano e lungo giorno, quello del sogno. Nel quale le delusioni per le scorrerie nel Belpaese facevano tutt’uno con lo scoramento per l’incedere del tempo personale. E così le lettere scritte e mai inviate - che fossero al Pontefice o al premier, alla figlia o all’umile amico - finirono con il restare immobili nel computer, complici di quel silenzio che s’era fatto quasi di condanna. Che cosa sarà successo, al Presidente? Sulla stampa faceva capolino ogni tanto, qua e là, qualche interrogativo assieme al velenoso sospetto. Le frasi affidate a un libro-intervista venivano nel frattempo disseminate cinicamente, come se lui non le avesse mai dette o non avesse più la voglia di dirle. Roba risaputa assieme a roba forte: «Strapagammo l’euro per colpa della vanità di Ciampi e Prodi. I politici sono ormai marionette nelle mani dei banchieri e sul fiume di denaro corrotto navigano le carriere e le fortune personali di molti di loro». Rivelazioni già rivelate: «Mani pulite non nasce con l’arresto di Mario Chiesa, l’azione della magistratura fu incoraggiata dall’Fbi americano e dai poteri forti italiani». Autentiche bombe inesplose: «La strage di Bologna fu opera dei Palestinesi, a volte il terrorismo è utile. I poteri mafioso, camorrista e ’ndranghetista non ci sono estranei».
Ma neppure in quel sogno, il presidente Cossiga intervenne per precisare o smentire quelle affermazioni affidate a suo tempo al giornalista Andrea Cangini e contenute nel suo recente libro Fotti il potere. Titolo forte, rude, stridente. Probabilmente vero, come il momento in cui da quel sogno il Picconatore si svegliò. Fotti il potere come ultima traccia, come indizio di un giallo che non vuole dare soluzioni e con una sola certezza: quanto è mancato al suo Paese, agli amici e persino ai nemici, lo spirito libero che egli incarnava.

Come per tutti i peccatori, soggetto a un’unica legge.

Commenti