Roma - Mario Draghi tasta il polso al Paese. Nelle sue considerazioni finali il governatore di Bankitalia analizza lo stato dell'Italia. Che non è buono. Soprattutto quello dei conti pubblici. Nell’ultimo biennio "la situazione è migliorata, ma i risultati per l’anno in corso si prospettano
meno favorevoli". Anche in un contesto congiunturale difficile, però "il rapporto fra debito e prodotto deve restare su un sentiero di
flessione". Secondo Draghi l’economia italiana si manterrà debole per tutto il 2008, dopo aver risentito nel corso del 2007, come tutta l’area
dell’euro, del rallentamento a livello mondiale e dell’accelerazione dei prezzi delle materie prime. L’inflazione preoccupa a livello italiano ed
europeo, avendo raggiunto il 3,3% nella media del primo trimestre di quest’anno, livelli che non toccava dalla prima metà degli anni novanta.
Nel nostro Paese, sottolinea il governatore, "la fase di debolezza ciclica si protrarrà almeno per l’anno in corso", sostenuta principalmente dalle esportazioni che nel passato biennio
sono aumentate di quasi il 6% all’anno. "La dinamica della domanda interna è stata molto modesta; i margini di capacità inutilizzata si sono ampliati; gli investimenti hanno
rallentato fortemente; sono peggiorati gli indicatori di fiducia delle imprese".
Troppe tasse In Italia ci sono troppe tasse che gravano sia sulle imprese che sui lavoratori penalizzando fortemente il sistema Paese. I margini per ridurre la pressione fiscale ci sono: occorre, pertanto, definire "un percorso pluriennale di riduzione di alcune importanti aliquote d’imposta che dia maggiore sostegno alla crescita e migliori le aspettative di famiglie e imprese". Il governatore della Banca d’Italia è convinto che dalla crisi di produttività che attanaglia l’Italia da oltre dieci anni si possa uscire riducendo le tasse e tagliando la spesa pubblica. In questo settore, dice il numero uno di Bankitalia, i margini di risparmio ci sono. Le misure adottate dal governo in tema di riduzione della tassazione sugli straordinari avranno "riflessi positivi, consentendo un migliore utilizzo degli impianti e incentivando la contrattazione salariale a premiare gli aumenti di efficienza". Ma tali interventi non bastano: "In prospettiva il prelievo andrà attenuato su fasce via via più ampie di lavoratori, privilegiando la semplicità e la neutralità degli interventi". Aliquote troppo elevate, avverte il governatore, "penalizzano le imprese nella competizione internazionale, riducono la propensione a investire, possono determinare distorsioni nella scelta della dimensione d’impresa". E ancora: "Tagliano le retribuzioni del lavoro regolare, scoraggiano l’emersione di quello irregolare". Gli sgravi fiscali vanno pertanto "concentrati laddove possono dare maggiore sostegno alla crescita, riducendo le distorsioni dell’attività economica". Ma Draghi insiste anche sulla necessità di semplificazione del sistema tributario: "L’effetto sull’economia sarà più grande se si semplificheranno gli adempimenti per i contribuenti e si assicurerà una maggiore stabilità normativa". Ed è l’intera politica di bilancio che va "orientata all’efficienza e alla crescita, altrimenti lo stesso risanamento della finanza pubblica è reso più difficile". I numeri letti da Draghi all’assemblea della banca centrale non lasciano spazio ai dubbi sul fatto che gli italiani siano tartassati. La riduzione del disavanzo negli ultimi due anni "è dovuta soprattutto al forte aumento della pressione fiscale: 2,8 punti percentuali tra il 2005 e il 2007. L’incidenza delle entrate fiscali sul pil si colloca al 43,3%, appena al di sotto del valore massimo registrato nel 1997, al culmine dello sforzo per soddisfare i criteri di Maastricht. Si tratta di un livello superiore di quasi 3 punti rispetto alla media degli altri paesi dell’Unione Europea, mentre il divario nei confronti di Stati Uniti e Giappone è ancora più grande". Ma, al di là di queste cifre, la situazione reale è ancora più gravosa: "L’ampia dimensione delle attività regolari - spiega Draghi - rende l’onere dei contribuenti ligi al dovere fiscale più pesante che nel resto d’Europa". Basti pensare che per ogni 100 euro di costo del lavoro per l’impresa, il prelievo fiscale e contributivo per un lavoratore-tipo senza carichi familiari è pari in Italia a 46 euro contro una media europea di 43 euro. Nel Regno Unito si scende a 34 euro e negli Usa addirittura a 30. Senza contare che l’Irap finisce per accrescere ulteriormente il divario. Fatto sta che, "nonostante la riduzione apportata nel 2008, l’aliquota complessiva di prelievo sui profitti d’impresa resta superiore di 8 punti rispetto alla media degli altri paesi dell’Unione Europea".
La crisi La fase di debolezza innescata dal "ripiegamento ciclico mondiale e dall’accelerazione dei prezzi delle materie prime si protrarrà almeno per l’anno in corso". Ed è "presto - spiega Draghi - "per dire se è terminata la turbolenza finanziaria che ha colpito i maggiori Paesi avanzati e ha interrotto un lungo periodo di crescita, bassa inflazione, credito abbandonate, così come è presto per valutarne pienamente le conseguenze sull’economia reale. Molto dipenderà - aggiunge - dalla dimensione e dalla rapidità del processo di ricapitalizzazione in corso presso le maggiori istituzioni finanziarie mondiali". Quindi uno sguardo alla situazione dell'inflazione: "I maggiori rischi per l’economia mondiale vengono oggi dall’accumularsi di tensioni inflazionistiche e dal possibile rallentamento americano e il principale elemento di preoccupazione resta il continuo aumento dei prezzi dell’energia e di altre materie prime.Questi rincari se da un lato riflettono in parte le prospettive ancora robuste di crescita delle economie emergenti, dall’altro - spiega - imprimono ulteriori impulsi recessivi alle economie avanzate e alimentano l’inflazione, condizionando le politiche monetarie".
Le famiglie "La spesa delle famiglie italiane è frenata dalla bassa progressione del reddito disponibile" soprattutto per quanto riguarda i consumi dei nuclei a "reddito più basso" rileva il governatore spiegando che "i consumi continuano a risentire dell’instabilità dei rapporti di impiego, diffusa specialmente tra i giovani e nelle fasce marginali di mercato del lavoro: l’incertezza sul reddito corrente, sulle sue prospettive di crescita futura frena le decisioni di spesa, anche per l’inadeguatezza della rete di protezione sociale".
I giovani e le pensioni L’Italia ha "desiderio, ambizione, risorse per tornare a crescere". E i giovani devono diventare i protagonisti di questa rinascita. È un messaggio a metà strada fra l’ottimismo e l’incoraggiamento, quello lanciato da Draghi. Il Paese "sa che lo sviluppo è, nel tempo, condizione essenziale della stabilità finanziaria. Ha una storia a testimoniare che non c’è niente di ineluttabile nella crisi di crescita che da anni lo paralizza". Per ottenere questo risultato, "i protagonisti della ripresa devono essere coloro che hanno in mano il futuro: i giovani, oggi mortificati da un’istruzione inadeguata, da un mercato del lavoro che li discrimina a favore dei più anziani, da un’organizzazione produttiva che troppo spesso non premia il merito, non valorizza le capacità". Draghi riconosce che "il consenso sulle cose da fare è vasto", ma esso "si infrange nell’urto con gli interessi costituiti che negli ultimi anni hanno scritto il nostro impoverimento". Le fondamenta su cui costruire l’intervento risanatore sono "la stabilità della politica e la forza delle istituzioni". L’attuazione di tale processo, conclude Draghi, "richiederà l’impegno di tutte le forze di cui dispone il Paese. Il premio è la ripresa duratura della crescita". Poi Draghi tocca il punto delle pensioni: "Il sistema italiano tiene lontana dal lavoro una quota troppo ampia delle popolazione: solo il 19% degli italiani tra i 60 ed i 64 anni svolge un’attività lavorativa, contro il 33% degli spagnoli, il 45% dei britannici ed il 60% degli svedesi. E' ora di rimuovere i vincoli e i disincentivi al proseguimento dell’attività lavorativa per coloro che sono nel regime retributivo". E, ancora, è necessario "ampliare i margini di scelta dell’età di pensionamento per coloro che sono in regime contributivo; cancellare gli ultimi impedimenti al cumulo lavoro-pensione; incoraggiare forme flessibili di impiego".
Il Sud Il governatore di Banca d’italia lancia l’allarme Mezzogiorno: costa ma cresce e produce poco. Il ritmo di crescita del Sud è ancora lontano e scarso rispetto alle regioni del centro e nord Italia e il suo livello di produttività è insufficiente a fronte di una spesa pubblica "tendenzialmente proporzionale alla popolazione ed entrate che riflettono redditi e basi imponibili pro capite" molto inferiori. Secondo Draghi, nonostante l’impegno finanziario pubblico "resta forte la differenza tra Mezzogiorno e Centro Nord nella qualità dei servizi pubblici prestati". Divari si trovano in tutti i settori, "dalla sanità all’istruzione, dall’amministrazione alla giustizia a quella del territorio, dalla tutela della sicurezza personale alle politche sociali, alla stessa realizzazione delle infrastrutture".
Le banche e i mutui Draghi promuove le nuove regole che facilitano la rinegoziazione dei mutui promossa dal governo e invita ora le banche a sostituire la commissione di massimo scoperto ancora applicata dagli istituti: è "poco difendibile sul piano della trasparenza. La ristrutturazione del debito - spiega il governatore nella sua relazione all’assemblea di Bankitalia riferendosi ai mutui - può arrecare sollievo alle famiglie; giovare in prospettiva alle stesse banche, riducendo i casi di insolvenza. Occorrerà verificare con attenzione gli eventuali effetti di questa misura sul mercato delle cartolarizzazioni esistenti. Deve in ogni caso essere lasciato il massimo spazio all’operare della concorrenza nell’offerta delle migliori condizioni ai clienti". Per quanto riguarda la commissione di massimo scoperto, Draghi avverte che "va sostituita, dove la natura del rapporto di credito lo richieda, con una commissione commisurata alla dimensione del fido accordato, come avviene in altri Paesi". Sulla situazione degli istituti di credito il giudizio del governatore è positivo. Le banche italiane hanno retto l’urto della crisi dei mercati finanziari internazionali, con effetti assai più contenuti di quelli dei loro partner internazionali.
Ma a loro spetta comunque un’importante responsabilità: "quella di garantire qualità del credito e correttezza nei confronti dei propri clienti, e quella di rafforzare il patrimonio per renderlo adeguato ad affrontare qualunque tipo di rischio. Non bisogna abbassare la guardia, anche perchè le banche sono determinanti per la capacità di competere del Paese".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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