Ds e Margherita al funerale del partito unico

Gianni Baget Bozzo

È proprio il caso di citare un antico proverbio: «Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi». E quello che è stato scoperchiato non è stato soltanto il tentativo dell’Unipol di scalare la Bnl con mezzi oggi accusati di aver costituito una associazione a delinquere: è l’odio reciproco che si è verificato all’interno delle componenti del futuribile Partito Democratico. È emerso che la lotta senza quartiere contro Berlusconi nascondeva la vera essenza del partito dell’Ulivo, cioè l’odio reciproco. Le dichiarazioni di Prodi sono apparse come una lettera accusatoria, e la loro accettazione da parte di Fassino come un atto di disperazione politica.
Non c’è nulla che renda l’idea dell’odio reciproco come essenza di un’alleanza che non la storia stessa della Dc. La Dc viveva sulla rendita forzosa dell’unità politica dei cattolici, cioè su una unità imposta da una rendita elettorale assicurata; ma la guerra interna tra le varie correnti democristiane per assicurarsi la parte maggiore del potere la condusse a una tale divisione da determinare la fine del partito.
L’unità forzosa produce il massimo della conflittualità politica interna. Non è un caso che lo scontro interno alle componenti del Partito democratico sia scoppiato, al massimo livello, proprio quando l’unità politica era stata annunciata.
Che cosa può fare oggi il Ds? Accettare di essere assolto come un peccatore pentito dall’assoluzione mortale di Prodi? O riaffermare la propria esistenza rivolgendo direttamente il suo appello ai propri elettori? L’unica fonte di legittimità dei Ds può essere soltanto quella offerta dal proprio corpo elettorale, che solo può mostrare con il voto di credere alla differenza etica dei post-comunisti nonostante l’operazione Unipol. E questo consenso esiste ancora, anche se in parte lesionato. È una tattica molto più saggia chiedere al proprio popolo l’assoluzione che non riceverla dal proprio nemico mortale, che è rappresentato in sostanza da Romano Prodi e dal gruppo dirigente della Margherita.
Per questo converrebbe ai Ds mandare all’aria le liste comuni con la Margherita alla Camera dei Deputati, provando una soluzione d’emergenza con la candidatura di Prodi a Presidente del Consiglio. Del resto, lo stesso Prodi sembra pensare a un’operazione analoga al Senato, con una lista Prodi. La risposta dei Ds al comportamento degli alleati sul caso Unipol non potrebbe essere che la fine del Partito Democratico e del partito dell’Ulivo.
Se non sarà così, i Ds diventeranno la componente delegittimata politicamente dell’alleanza di Prodi, dell’Ulivo e dell’Unione, resi innocenti dalla supposta innocenza degli altri. Ciò mostra, ancora una volta, che l’alleanza di sinistra non era un fatto politico, ma solo un espediente di potere; che essa avrebbe vissuto la stagione di governo come una lunga resa dei conti.
Perché le forze dell’Ulivo sono così profondamente divise? Perché la storia si prende le sue rivincite, e la differenza tra post-democristiani e post-comunisti si è rivelata intatta: infine erano i dirigenti dei vecchi partiti a fare l’alleanza nuova e le loro memorie storiche e politiche erano intrinsecamente divise. Mentre il centrodestra, sia pure con difficoltà, è riuscito a comporre le differenze dell’alleanza, riconoscendo il passato diverso delle sue componenti, il centrosinistra ha voluto fonderle sulla questione morale dell’anti-berlusconismo, ha fatto dell’odio la sua arma contro l’avversario ed ha avuto in riscontro il fatto che l’odio politico fosse la sua essenza.
Ora la salvezza della sinistra sta solo nel riconoscimento delle differenze e nel prendere tutti i vantaggi della nuova legge proporzionale: i Ds corrano come Ds, la Margherita come Margherita, e Prodi come può.

Se rimarranno uniti, l’odio reciproco differito e celato, ma dominante appunto perché represso, finirà per consumare la loro occasione politica. A meno che questa non sia già consumata.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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