Ducati, Bonomi pronto a passare la mano

Ducati, il simbolo dell’Italia corsaiola su due ruote, la casa motociclistica di Borgo Panigale che è riuscita a strappare Valentino Rossi ai giapponesi, è sul mercato. Due le strade che la proprietà, il fondo Investindustrial di Andrea Bonomi, neo presidente di Bpm, intende seguire: quella della quotazione a Hong Kong, per la quale sono stati attivati alla fine del 2011 come global coordinator Goldman Sachs, Deutsche Bank e Banca Imi; e quella della cessione «a un partner industriale di rilevanza mondiale», come ha spiegato Bonomi in un’intervista al Financial Times. Il rischio, a questo punto, è che un’altra eccellenza del made in Italiy finisca nel carniere di una società straniera. Pronti a considerare l’opportunità di acquisire Ducati ci sarebbero già gruppi in Europa, Usa e Asia. Un’operazione che potrebbe essere definita su una cifra intorno al miliardo, tre volte l’investimento che Bonomi ha avviato nel 2006. Sei anni dopo essere entrati nel business delle moto (Bonomi, oltre a essere appassionati di off-shore è stato pilota di Ducati), Investindustrial ritiene di aver concluso il progetto industriale: ceduta da Tpg a Bonomi nel 2006 (all’epoca della presidenza di Federico Minoli a farsi avanti era stata l’Harley Davidson), la casa motociclistica è stata prima tolta dal listino (2008), quando valeva 500 milioni, e quindi risanata, fino ad arrivare all’ultimo bilancio, quello del 2011, con ricavi di 480 milioni, il 20% in più rispetto al 2010, 42mila moto vendute e nessuna stima degli utili: il gruppo non fornisce volentieri informazioni. Il livello di indebitamento, inoltre, è 1,7 volte gli utili prima di interessi, svalutazioni e ammortamenti. Il Ft lo giudica «molto basso rispetto a quelli di molte società nel portafoglio di fondi di private equity». «Ma ora - ha detto Bonomi - visto che Ducati è una società perfetta, per crescere ha bisogno del sostegno di un grande partner industriale». Per Investindustrial (ha il 70% dell’azienda, il 20% è in mano al fondo di private equity Bs e la restante quota a un fondo pensioni dell’Ontario), dunque, missione compiuta. L’affare è stato positivo e il risultato del 2011 rappresenta un record, anche considerando che nel 2006, al momento dell’acquisizione, la casa emiliana «aveva le gomme a terra». Ma quale prevarrà, ora, tra le due opzioni? Se ci sarà lo sbarco in Borsa a Hong Kong, Ducati diventerà una public company oppure Bonomi terrà per sé una quota? E perché proprio Hong Kong? È forse un biglietto da visita per qualche produttore asiatico (o un vanity investor degli Emirati) pronto ad accaparrarsi l’azienda? In Asia, in proposito, la quota di mercato di Ducati è in aumento. Vero è, comunque, che a frenare il piano di quotazione potrebbe essere la situazione generale dell’economia, tutt’altro che tranquilla. Allora potrebbe prevalere l’opzione cessione tout court. Il gruppo italiano del settore più importante, la Piaggio di Roberto Colaninno, si chiama già fuori dalla partita. E lo stesso fa la bavarese Bmw, che in Italia ha già fatto shopping (nel 2007 ha rilevato da Claudio Castiglioni, scomparso di recente, il marchio Husqvarna). In lizza potrebbero esserci la tedesca Daimler (Mercedes) che due anni fa ha avviato una partnership con Ducati, attraverso il marchio sportivo Amg. L’accordo riguarda attività congiunte di marketing e sponsorizzazione. Amg e Ducati hanno anche dato vita a una moto esclusiva, la Diavel Amg Special Edition, presentata nel 2011 al Salone di Francoforte. Ma più in là, sembra, i tedeschi non vogliono andare. Si parla anche di Volkswagen. Il presidente Ferdinand Piëch, ducatista doc, potrebbe essere tentato. Un modo per riscattarsi, dopo i no ricevuti da Fiat per Alfa Romeo e una quota di Ferrari.

Alla finestra, poi, c’è sempre il colosso indiano Mahindra, entrato da poco nel mondo delle moto (scooter e veicoli di 125 e 300 cc) del MotoGp (classe 125) e che già quattro anni aveva cercato il colpo su Ducati. «Di sicuro - dice una fonte - un miliardo è una cifra troppo alta».

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