Due direttori, l’informazione e lo stile

(...) ipocrisie, parliamoci fuori dai denti. I direttori tracciano le linee guida, i chiodi piantati che sono i punti fermi. Poi le variazioni sul tema e il fare opinione che diventano la specificità delle testate. In mezzo ci sta Giuliano Fontana, inviato del Tirreno. Spartisce il dialogo e ci finisce dentro, che l’aria fritta è solo degli stand. Calcio, intercettazioni, indulto, i temi caldi di quest’estate bollente nel ping pong di linee editoriali francamente schierate che si raccontano nell’approccio, nell’affermazione, nelle scelte. Con assoluta schiettezza. Ad aprire il confronto le sentenze sul calcio: «Un pateracchio - esordisce Belpietro -. Questo non è un processo e la sentenza è ridicola». Applauso, l’opinione è condivisa da Padellaro che ci fa la coda. Nessun senso morale, solo questione di business: «Il processo nasce perché il grande affare calcio rischiava di non essere più un affare. Calo verticale negli stadi, calo nella ridistribuzione dei diritti televisivi. La sentenza di oggi è un compromesso perché non ci siano moti di piazza e ricorsi al Tar».
Belpietro lo blocca. Macché punti rottura, «tutta colpa d’un procuratore che fa intercettare i telefoni della Juventus. Un anno di ascolti. Il procuratore capo di Torino archivia, smembra l’inchiesta e ne informa la Federazione. Finché il procuratore di Napoli riapre. C’è qualcosa di penalmente rilevante? Credo di no, però è evidente come tutto nasca dalle intercettazioni».
Qui lo scontro in punta di fioretto s’appella alla deontologia. «Non sono contrario alle intercettazioni quando ci sono motivazioni importanti - sottolinea Belpietro -. È incredibile però il numero di autorizzazioni firmate ogni giorno. Il rischio è l’allargarsi ad un mercato nero».
Belpietro le ha pubblicate spesso, dal «bacio» di Fiorani a Fazio allo scambio Fassino-Consorte. «Non è pericoloso l’uso che ne fanno i giornali, ma i magistrati che le allegano alle inchieste senza che abbiano rilevanza penale».
Padellaro s’aggancia insistendo che i giornali fanno bene a pubblicarle «perché consentono l’accesso a mondi oscuri per l’opinione pubblica. Senza il bacio di Fiorani ci sarebbe stata la valanga che ha travolto Fazio? Sta alla nostra deontologia stralciare quanto non è pertinente».
D’accordo, ma diciamocela tutta: «Non sono forse i pettegolezzi, gli Sms scambiati tra Falchi e Ricucci, il guardare dal buco della serratura che ti fa vendere? - Belpietro ci va giù duro -. Non siamo ipocriti, vige la deontologia delle copie».
La sensazione è che le sponde si avvicinino su quell’informazione che il pubblico ha diritto di ricevere. Il moderatore li spinge sulla china delle passate politiche, sullo schierarsi del direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli. Scelta onesta, secondo Belpietro.
E Padellaro mica si tiene: «Il Corriere fa il tifo per una parte, in modo elegante, utilizzando una schiera di editorialisti che sembrano confezionare un giornale con opinioni diverse, che poi in realtà è una sola, quella che rappresenta il potere, quello vero».
Fontana stuzzica Belpietro sugli editorialisti de il Giornale: «Per il referendum sulle staminali il Corriere pubblicò venti editoriali, diciannove favorevoli e uno contrario. Noi ne pubblicammo quindici, di cui sei contrari e nove favorevoli. Se questo non è dibattito...». Poi la sterzata sul fare i giornalisti senza essere militanti. «Si può - conferma Padellaro -. L’importante è dire ai lettori quello che si è».
E il discorso scivola sull’indulto. Il direttore del Giornale ricorda come il testo dell’indulto sia identico a quello presentato da Andreotti nel ’90, eccetto il terrorismo internazionale e le violenze sessuali di gruppo. «A cosa serve questa legge? A svuotare le carceri o a scontare la pena di chi in carcere potrebbe finirci?». Touché. Padellaro incassa con stile, un giro di parole sui cinque anni passati di leggi ad personam e la stoccata: «Se anche il centrosinistra si mette a creare leggi per proteggere Consorte ed evitare il giusto processo, non è degno d’un Paese che ritiene ci sia stato un cambiamento».
Belpietro gli fa notare come a cominciare a fare leggi per chiudere situazioni imbarazzanti fosse proprio il centrosinistra, per Prodi. «E adesso, appena insediata, la maggioranza di governo ti fa questa legge. Sempre meglio prevenire che vedere qualcuno dei loro portato via in manette». Bello sentirli ricamare ironie. Ma quegli argomenti li infilzano con onestà intellettuale, tant’è che gli applausi se li spartiscono e la trincea sbiadisce i colori. Tutti d’un pezzo, professionisti seri che hanno la responsabilità d’informare. E Mamma Rai come se la cava? Belpietro non fa sconti: «La deriva della Rai è imbarazzante. Il centrodestra l’ha avuta per le mani cinque anni e vedere che il risultato prodotto sono i reality è il suo più grande fallimento. Interessante la proposta di Gentiloni, perché altrimenti pagare il canone?».
Padellaro punta il dito sulla Rai lottizzata da chi è al potere: «Con un atto di coraggio bisognerebbe mettere alla guida dei telegiornali giornalisti che non hanno paura di fare inchieste, come Milena Gabanelli».
Belpietro è d’accordo, ma non basta: «A gestire ci vorrebbe una Fondazione che svincolasse la Rai dai politici e ne garantisse l’indipendenza». Ancora applausi. È quasi surreale.

Belpietro chiude ricordando la colletta che L’Unità e il Giornale fecero per i bimbi vittime della guerra in Irak: «Insieme abbiamo aiutato molti bambini». E Padellaro: «Sono le larghe intese che ci piacciono». Una bella lezione di dialogo. L’informazione ha raggiunto il pubblico in rosso, ma il colore non ha fatto la differenza.

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