Era appena iniziato il 1848 quando un tale James Marshall scorse le prime pepite d'oro a Sutter's Mill, nei pressi di Sacramento. La notizia, sia pure in mancanza della Cnn fece il giro del mondo in un battibaleno e in soli tre anni si riversarono in California oltre 200mila persone. Era scoppiata la «gold rush», la corsa all'oro. San Francisco divenne il fulcro di tutti i traffici. Vi giungevano sia coloro che viaggiavano in nave doppiando Capo Horn (6-8 mesi di navigazione), sia coloro che attraversavano l'istmo di Panama, sia infine quelli che attraversavano il continente con le carovane. Qui iniziarono allora le fortune di due uomini legati in qualche modo alla nostra città: Domingo Ghirardelli e Levi Strauss.
Negli anni in cui si consolidava la sua fortuna, la strada di Domingo dovette incrociare più volte in città quella di un altro intraprendente immigrato: il bavarese Levi Strauss. Questo tenace tedesco giunse a San Francisco nel 1853 con un viaggio lunghissimo che però sfruttò in modo ottimale, vendendo ai compagni di viaggio la maggior parte delle merci che si era portato da New York. All'arrivo a San Francisco non restavano che poche balle di robusto tessuto marrone, adatto per confezionare tende e coperture per quei carri che abbiamo visto decine di volte bruciare nei film western. Levi si rese conto che i cercatori d'oro erano praticamente in mutande e non solo economicamente. I pantaloni che indossavano non erano resistenti e né loro, né le poche donne presenti nella zona, tanto meno le professioniste da saloon, erano affatto versati nei lavori di cucito e ancor meno interessati a diventarlo. Levi affidò allora ad un sarto la confezione di pantaloni da lavoro dotati di capienti tasche e nacquero così, quasi per caso, gli antenati dei jeans. Per la verità assomigliavano poco ai mitici «501» perché erano marroni, mancavano i rivetti in rame e si indossavano con le bretelle.
Presto, terminate le balle di tela marrone, Levi cambiò tessuto. La nuova stoffa di colore indaco era chiamata dalla città francese in cui si produceva «serge de Nîmes», che presto divenne «denim». Nel corso degli anni vennero aggiunti i rivetti in rame, l'etichetta in pelle e nel 1890 nacquero ufficialmente i «501». Quarant'anni più tardi un altro cambiamento epocale tirò in ballo la nostra città. I «pantaloni da lavoro alla vita» diventarono ufficialmente i «jeans» (da Gênes, Genova), prendendo il nome dai calzoni in tela blu indossati dai marinai all'ombra della Lanterna. Un tessuto con un pedigree di tutto rispetto, giacché fin dall'epoca medioevale venivano tessuti nella nostra città robusti fustagni che tinti in blu si utilizzavano per capi di abbigliamento poco sporchevoli per i marinai e per coloro che svolgevano lavori manuali e che non potevano accedere con frequenza alle lavanderie. Né mancava nel passato per la tela di Genova un uso assai più prestigioso, come testimoniano i 14 teli blu del Museo Diocesano dipinti nel Cinquecento con scene della passione di Cristo. Toccò comunque a Levi Strauss rendere la tela di Genova il tessuto più famoso del mondo.
Tornando ai due svegli immigrati, la loro fortuna non si esaurì con la scomparsa dell'oro. La Levi Strauss ha trasferito all'estero la maggior parte della sua produzione e per combattere l'agguerrita concorrenza di jeans più modaioli e più graditi ai giovani ha innovato con la linea di abbigliamento «Dockers» e ha annunziato per i prossimi mesi i jeans «compatibili con l'i-Pod».
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