Proprio nel giorno del «giudizio» le parole più dure, quasi un anatema, arrivano dalle due figlie che limbianchino fino a ieri aspirante imprenditore edile ebbe dalla prima moglie, Marisa Maldera, morta nel 2003 in uno strano incidente dauto: la donna finì carbonizzata, mentre lui uscì dallauto senza un graffio.
«Nostro padre è un assassino», attaccano ora le due ragazze. Nunzia, sposata con un agente di polizia penitenziaria in servizio proprio nel carcere dei Miogni dove è rinchiuso il suocero, e sua sorella Cinzia, spiegano che dalla loro vita il padre è «cancellato» da tempo. Lo definiscono un «padre padrone» quando viveva con loro, «violento e irascibile».
Ma soprattutto lo accusano della morte della loro madre. Parlano chiaramente di omicidio. Altro che incidente. Ed entrambe chiedono giustizia. Piccolomo in quelloccasione se la cavò patteggiando una pena a un anno e quattro mesi per omicidio colposo. «Quando labbiamo saputo - ricorda - siamo corse in ospedale credendo fosse un vero incidente, ma quando abbiamo saputo che era morta arsa viva, carbonizzata, e lui non si era fatto niente, abbiamo subito pensato fosse stato lui».
Cinzia fa un passo indietro nel tempo. E ricorda. Parla dei problemi in famiglia erano iniziati proprio quando la ragazza marocchina che avrebbe poi sposato (e che qualche mese fa lo ha lasciato portandosi via due figli) aveva cominciato a lavorare nel ristorante-pizzeria della coppia. «Era la sua ombra, noi cercammo di aprire gli occhi a nostra madre».
Intanto gli inquirenti continuano a setacciare la zona alla ricerca dellultima prova: ovvero le mani amputate alla vittima.
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