V ela e calcio non tradiscono alcuna parentela, è vero. Ma in queste ore inevitabile risulta la suggestione dellaccostamento. Specie se le parole di Francesco De Angelis, lo skipper napoletano di Luna Rossa Challenge, in arrivo da Valencia, ricalcano in modo fedele le frasi spese da Carlo Ancelotti, pacioso reggiano, sabato sera dopo linno a Costacurta e oggi in partenza per Atene. Raccontano dellincanto della loro rispettiva condizione, a due passi dalla gloria delle finali di Champions league in un caso e della Louis Vuitton nellaltro e testimoniano appena limbarazzo nel passare dalla polvere agli altari nel giro di qualche regata o poche sfide continentali. «La barca è la stessa di prima criticata perché era lenta» ripete De Angelis con un pizzico di malizia. «Siamo quelli di Istanbul» sostiene da giorni, e con lui tutto il team di Milanello, Ancelotti quasi per sfidare il luogo comune secondo cui il suo gruppo risulterebbe intimorito dallidea di ritrovare per strada il gatto nero Liverpool riavvolgendo il nastro di una finale maledetta. Non toccano ferro, anzi. Non vedono lora di ritrovarli.
È vero: il Milan di mercoledì notte ad Atene è lo stesso o quasi di Istanbul 2005. È lo stesso nella guida, stesse idee e schieramento ritoccato con un centrocampo più robusto e meno esposto alle galoppate di Gerrard. È lo stesso negli uomini-simbolo, nella testa dei suoi esponenti, nei muscoli levigati attraverso una mini-preparazione di 10 giorni, appena modificato da qualche assenza significativa (Stam, Crespo, Shevchenko) e rimpolpato dal genio ritrovato di Seedorf e dal talento luccicante di Kakà.
Due finalissime raggiunte di slancio
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