Due giorni e tre notti per percorrere 100 metri

In colonna a Ventimiglia tra i forzati dello sciopero che ha paralizzato il traffico di tutto il Ponente ligure

nostro inviato a Ventimiglia (Imperia)

Ana Paola, almeno, si è divertita. Le sue curve le sono valse il titolo di «Miss sciopero» da parte dei colleghi camionisti. Certo, l’autogrill di Ceriale Nord non offriva il massimo della scenografia, ma un nastro da imballaggio e le lettere adesive staccate da un rimorchio di un Tir hanno risolto la situazione. Lei, ventinovenne portoghese, mora, capelli lunghi, bella di quella bellezza un po’ abbondante, fisico un po’ da cucinotta, non necessariamente con la maiuscola, di cognome fa Gonzales. Ma non è parente: di Speedy (Gonzales), intendo. In due giorni e tre notti avrà percorso sì e no cento metri. E tutti rigorosamente a piedi.
A Ventimiglia, invece, non tutti si sono divertiti. Non si sono divertiti gli automobilisti incolpevoli del Ponente ligure che, da ieri mattina, hanno messo in piedi una sorta di mesta processione verso la Francia alla ricerca di carburanti: la verde, ad esempio, era esaurita in tutta la provincia di Imperia, con scene fantozziane appena si diffondeva qualche leggenda metropolitana sulla presenza di benzina in una pompa. E non si sono divertiti nemmeno gli autotrasportatori. Non tutti, almeno. Franco Cicolella, di Foggia, ad esempio ha vinto un’interminabile partita a scopone con i colleghi di mezza Europa - di quelle classiche da iconografia di ogni blocco stradale, con tanto di tavolino e pubblico alle spalle - ed ha ripianato così il mancato introito dei due giorni di fermo. Mario Ceccarelli, romagnolo, riesce a sorridere per le salsicce piccanti che gli hanno offerto i camionisti ciociari: «E quando mai le avrei provate se non svuotavano il loro container?».
Ma sono solo note di colore, in due giorni che di colore ne hanno uno solo: il nero. Perché, per l’appunto - al di là della goliardia e dei mille modi per passare il tempo fermi nei piazzali, nell’autoporto, sulla bretella e in ogni metro disponibile attorno alla frontiera di Ventimiglia - l’aria che si respira fra i camionisti è pesantissima. Verso le sette di sera, al momento dell’annuncio della sospensione del fermo dei Tir - quando ormai fuori è buio e persino il microclima dell’Imperiese, il più mite d’Italia, lascia spazio al freddo -, gli autotreni fermi a Ventimiglia sono 5.000. Cinquemila.
Tanto che il prefetto di Genova Giuseppe Romano convoca d’urgenza un’unità di crisi per gestire il deflusso. Persino lui, decisionista di ferro, capace di risolvere mille criticità, ma pur sempre prefetto abituato al linguaggio felpato e alle parole di velluto dei prefetti, è preoccupato anche per oggi: «Se non lo gestiamo, anche il deflusso dei mezzi rischia di mettere in ginocchio le autostrade».
Il dopo, sarà così. Il prima, era stato nero. Perché, al di là del colore, la giornata a Ventimiglia era stata tesissima. Problemi igienici, innanzitutto. Problemi di alimentazione che andasse oltre i panini distribuiti dalla Protezione Civile e dalle «squadre solidali» di Forza Nuova e oltre la salsiccia piccante dei camionisti ciociari. Problemi di stanchezza accumulata dopo tre notti passate fra le cabine dei camion e i picchetti attorno ai falò dei blocchi, con i turni fissati come nelle ronde notturne in caserma.
Problemi di incomunicabilità, totale, fra i duri del blocco e i dialoganti, quelli che avrebbero voluto ripartire già ieri. Problemi di nazionalità anche: i portoghesi come Ana Paola, gli spagnoli e soprattutto i francesi si sono in gran parte allineati alla protesta degli italiani in nome della solidarietà di classe. O, almeno, della solidarietà di classe C. Nel senso della patente che serve per gli autotreni.
Ma il problema erano quelli dell’Est: albanesi, romeni, montenegrini. «Quelli che volevano forzare i blocchi»; «quelli che ci rovinano la piazza»; «quelli che accettano di essere sottopagati e drogano il mercato». Soprattutto, «quelli che fanno il pieno di gasolio a casa loro, dove costa meno, e poi vengono a massacrarci».
A tratti tira brutta aria. Il microclima non basta. Gruppi di italiani e di camionisti dell’Est si insultano, sfiorano la rissa. È difficile vedere da dietro il muro. Il muro di lamiera dei Tir. Ma anche il muro di lontananza di posizioni troppo estreme e lontane per essere vere. Certo, gli agenti di polizia, in squadre stile stadio, sono stati presenti, ma - come dire - delicatamente. Certo, erano pronti anche i carabinieri del nucleo antisommossa, che avevano in mano i piani per la rimozione coatta dei mezzi.

Certo, tutto. Ma la situazione stava per scoppiare.
Poi, l’annuncio dello sblocco. E, allora, vai con il colore e con le curve di Ana. Che oggi lasceranno spazio di nuovo a quelle terribili dell’A7. Meno pericolose, però.

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