Cristiano Gatti
da Milano
Allora si può. Si può tornare in modo normale, senza vuotare subito il carico degli slogan avvelenati, dei messaggi subliminali e dei risentimenti faziosi. Per lItalia, che ormai si è fatta una certa esperienza nel ramo liberazioni, si tratta di una scoperta rivoluzionaria. Con le due Simone, ci eravamo tutti convinti che alla fine questo singolare Paese, dopo essersi sbattuto-umiliato-inginocchiato per riportare a casa le sue volontarie, dovesse pure chiedere scusa. Scusa dessere occidentale, scusa dessere cattolico, scusa di aver avviato missioni di pace. Scusa di esistere. A pretenderlo, con aria saputella e risentita, non erano tanto i rapitori, ma le stesse volontarie liberate. E chi se lo scorda: un minuto dopo il rilascio, mentre tutti si aspettano almeno un grazie alla nazione, il primo destinatario di questo grazie riconoscente è il commando dei tagliagole che le ha private della libertà. E lItalia, e il governo? Che stiano contriti, perché se i terroristi arrivano a tanto, in fondo, la colpa è di chi invade casa loro. Stesso tono la Sgrena. Un grazie, eventualmente, ai movimenti pacifisti, che con le sfilate di piazza hanno creato le basi per il rilascio. E come no: se siamo tornate, ci spiegano tra le righe, non è grazie alle istituzioni italiane, ma nonostante.
Tutto un altro ritorno, Clementina. Già sbarcando a Ciampino, ma anche il giorno dopo, nella sua Milano, dove incontra la stampa con padre e madre. È lultimo tributo alla ribalta, rispettoso e per nulla insofferente, prima di chiedere «per favore, una seconda libertà»: la libertà di ritrovarsi e ricomporsi in santa pace.
Diversa la persona, prima di tutto. Clementina ha gli occhi spalancati e dolcissimi di una Audrey Hepburn un po incantata, o di un Bambi un po smarrito, anche se chiari come lacqua. Non cè traccia di aggressività e di arroganza, del genere adesso vi spiego io come gira il mondo e comè disgustosa lItalia. Nessuna recita da pasionaria, nessuna rivincita da militante offesa. Seduta al Circolo della stampa, con un sorriso dignitoso e candido, Clementina non si atteggia. Semplicemente, è. Normalmente, è. Mitizzare i rapitori? «Credo non sapessero nemmeno chi fossi. Lhanno scoperto dopo, frugandomi nella borsa. Mi sembravano abbastanza ignoranti: una volta mi hanno fatto disegnare uno schizzo dellEuropa, per mostrare dovè lItalia. Mi hanno chiesto chi sia più potente, tra Francia, Germania e Italia. Ponevano domande molto elementari: a che età ci si sposa da noi, che religione abbiamo. Ma niente di politico. Quando vedevano in tv le vedove afghane che imploravano la liberazione, ridevano...».
Ringraziarli, questi signori del male, come insegna il memorabile bon ton delle due Simone? «Mi hanno sempre rispettato, questo sì. Ma sono altri che adesso voglio ringraziare. Sono molto riconoscente al governo afghano, che ha lavorato insieme alla nostra ambasciata e al nostro ministero degli Esteri, nonché a Care International, lorganizzazione per cui lavoro. Hanno lavorato tutti giorno e notte per me. Ci sono troppe persone, davvero, che devo ringraziare...».
Questa signorina milanese ha lirresistibile fascino della grazia. È garbata, discreta, misurata. La tentazione di proporsi un po eroe e un po martire sarebbe persino umana, ma lei la evita con naturale pudore: «In Afganistan tutti rischiano, non solo i volontari italiani. Prima di tutto, rischiano gli afghani, perché la violenza è ancora alta...». Anche sul futuro: niente toni da proclama, nessuna volontà cocciuta di plateali ritorni. «A Kabul ci tornerò, certo: ma fra un anno o due. Voglio salutare gli amici e i colleghi che non sono riuscita a vedere. Hanno fatto tanto, per me. Ma quanto al lavoro, cambierò orizzonte. Lavevo già deciso. Il mio contratto scadeva l8 giugno: ero lì da tre anni, sentivo di avere già dato tutto, avvertivo il bisogno di una nuova esperienza. Il rapimento non cambia nulla».
Mentre la sua mamma piange, lei le accarezza la mano. Ai genitori, al fratello, al suo mondo si è aggrappata per non finire vittima del panico. Clementina ha vinto, come spiega sinceramente, «limitando i pensieri a loro, sperando non si preoccupassero troppo». Nessun richiamo retorico agli ideali di pace e di solidarietà, contro le guerre e i bruti della terra. Guarda caso, adesso chiede solo silenzio e luci spente. Una lunga vacanza, il ritorno al privato. Non sono previste processioni televisive e tournée nelle feste di partito, genere madonna candelora del pacifismo spinto.
Sì, la scoperta ha del sensazionale: davvero si può tornare in modo normale.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.