Il duello con Alonso può mandare in tilt lo stratega Schumi

Todt: «Doveva far passare Heidfeld». E Michael pensa già alla Turchia: «10 punti, posso farcela»

Benny Casadei Lucchi

nostro inviato a Budapest

È il più grande di tutti i tempi. Ci sono i numeri a dimostrarlo, le 89 vittorie, le 68 pole, i sette mondiali; e poi, e di più, ci sono i titoli con la Benetton e quelli con la Ferrari, Ferrari presa quand’era ridotta un macello e riconsegnata bella, florida, vincente come mai, forte anche e soprattutto per merito suo.
Come si conviene nella più alta diplomazia sportiva, dopo una sequenza lunga e corposa di elogi e bene e bravo e bis, arriva il temutissimo «ma». Ma Schumi è davvero il più grande pilota di tutti i tempi? Quesito per certi versi paradossale, pensando al curriculum dell’uomo di Kerpen, però domanda sacrosanta se si deve paragonare Michael ad altri grandi del passato. Perché nel paddock girovago della F1 cresce il partito di coloro che, stendendo comunque tappeti d’ovazione davanti a simile fuoriclasse, non possono non vedere i pasticci odierni e quelli del passato. Svarioni legati insieme da un preciso filo conduttore: il duello in pista. Se monsieur Jean Todt confida «forse avremmo dovuto dirgli di lasciar passare gli altri due piloti», Michael pensa già ad altro: dice che la squalifica di Kubica «è stata una buona notizia» perché contro Alonso «conta ogni punto» ed è importante arrivare alla pausa estiva «con uno svantaggio di 10 punti». Vero: ormai c’è solo un Gp di distacco e psicologicamente conta. Nel suo dire, Michael ha però già messo alle spalle le sciocchezze commesse in Ungheria, il sorpasso con bandiere rosse, l’inutile resistere agli attacchi che gli ha poi rovinato la gara. Schumi talento programmatore con la testa ormai in Turchia, alle prossime gare, «cercheremo di colmare il divario, possiamo farcela» dice. Schumi che guarda sempre al futuro perché il passato dà fastidio, ma è proprio guardando indietro che ci si rende conto che l’uomo di Kerpen, forse, il più grande non è. Ecco, l’abbiamo detto.
Senza tornare all’epoca eroica e lontana degli Ascari, dei Fangio e dei Clark, perché quelli erano cavalieri del rischio, «anni in cui io non avrei mai voluto correre, troppo pericoloso» confidò un giorno il campione tedesco; senza andare così lontano, ma fermandosi agli anni ’80 e ’90, ci si accorge che i suoi predecessori di duelli in pista, di sorpassi ne fecero e molti. E in quei tempi, il più grande era colui che le sfide le vinceva. Lauda contro Hunt e Peterson e Andretti e Scheckter, e più avanti Piquet contro Prost contro Villeneuve e poi Mansell e poi Senna. Già, Senna. Ha sfidato e litigato anche con Schumi ragazzo talentuoso. Ma c’era Imola alle porte e, va detto, fino alla tragica corsa il tedesco diede un bel filo da torcere al brasiliano.
Da quel giorno e fino ad oggi, Schumi ha conquistato mondiali contro buoni piloti (Hill, Villeneuve) ed è finito pari, due a due, il conto dei titoli spartiti lottando contro il solo vero fuoriclasse incontrato prima di Alonso: Mika Hakkinen. Una carriera, quella di Michael, fatta soprattutto di grandi, grandissime gare di strategia (non a caso, sempre, alla Benetton come alla Ferrari, con il suo uomo ombra al muretto, il dt stratega Ross Brawn). Gare, comunque, enormi perché solo Michael aveva e ha la capacità di sfruttare al massimo i Gp della «formula Ecclestone»: quella delle soste, dei cambi gomme. Nel vincere di strategia, allora sì che Schumi è davvero il più grande di sempre: perché per riuscirci bisogna essere veloci sempre, non mollare mai un giro. Però non è necessario essere dei maghi del duello in pista. E l’ultima Budapest è lì a dimostrarlo. Al via Alonso aveva, sì, gomme molto più veloci di Michael, ma l’ha comunque puntato e passato con decisione, sapendo che rischiava. Duello perso. E persi quelli con De La Rosa e Heidfeld. Era in condizioni di manifesta inferiorità, ma l’abilità del ruota contro ruota sta anche nel mollare quando non si può resistere. Non l’ha fatto. Eclissi dell’animo, dell’attenzione, proprio ciò che quando si attacca o ci si difende non deve mai accadere.

Eclissi come in passato: l’autoscontro fortunato che gli consegnò il mondiale nel ’94 contro Hill, la cozzata sfortunata con Villeneuve a Jerez ’97; eclissi come il sorpasso subito dal debuttante Montoya in Brasile nel 2003 o quello incassato da Hakkinen tre anni prima a Spa. Perché Schumi a braccetto con la strategia è il più grande di sempre; a braccetto con se stesso è solo grande. Ma sempre fuoriclasse.

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