Duro monito di Olmert alla Siria: «Con voi guerra a tutto campo»

Il premier: con Damasco non si tratta finché «sostiene il terrorismo». Messa la parola fine al piano di ritiro dalla Cisgiordania: programmato anzi l’ampliamento di due insediamenti

Marcello Foa

Improvvisamente, un altro Olmert. In campagna elettorale aveva promesso il ritiro unilaterale di buona parte delle colonie in Cisgiordania. Ma gli oltre 4mila razzi sparati da Hezbollah nei 34 giorni di guerra hanno cambiato tutto. E ora il primo ministro israeliano parla come un leader del Likud, il partito della destra. Lancia un durissimo monito ai siriani, avvertendoli «nel caso di una guerra contro di loro, Israele non si porrà i limiti che si è imposta nel recente conflitto in Libano». Ma soprattutto ribalta la linea sugli insediamenti. Stop al piano di smantellamento. Non solo. Benchè la «road map» lo vieti, due colonie saranno ampliate: ieri è stata lanciata una gara d’appalto per settecento nuovi alloggi.
Il Libano è diventato l’ossessione del successore di Sharon. «Quello che mi sembrava giusto alcuni mesi fa non lo è più ora - dichiara di fronte alla Commissione Esteri e Difesa della Knesset -. L’ordine di priorità del governo è cambiato dopo gli attacchi degli Hezbollah». E ai primissimi posti ora c’è Damasco. Olmert non usa perifrasi: «Quanto abbiamo fatto in Libano ha un valore deterrente nei confronti di Assad». Il primo ministro israeliano non esclude in futuro di poter raggiungere un accordo di pace con la Siria, che però prima deve rinunciare a «sostenere il terrorismo» ovvero gli Hezbollah e, nei Territori palestinesi, Hamas e Jihad. E siccome questa evenienza appare remota, il governo di Gerusalemme è pronto a replicare con estrema virulenza a eventuali provocazioni militari. Assad è avvertito.
Un Israele guardingo anche in Cisgiordania. Il programma del partito Kadima prevedeva la chiusura di dozzine di insediamenti isolati e il rafforzamento di quelli più grandi, che lo stesso Sharon voleva mantenere al fine di delineare un confine permanente entro il 2010.
Ma Olmert ora è persuaso che i ritiri unilaterali siano nefasti per la sicurezza dello Stato ebraico, perchè sia in Libano che a Gaza hanno condotto a un rafforzamento degli estremisti anzichè dei moderati: rispettivamente Hezbollah e Hamas. E anche sul fronte interno quel progetto ora è osteggiato dalla maggior parte degli israeliani, che hanno paura, che non sono più sicuri dell’inviolabilità del loro Paese e chiedono solo, esclusivamente sicurezza.
E allora ecco il bando di concorso per la costruzione di 348 case a Maale Adumin e di 342 a Beitar Eiliti, rispettivamente a est e sud di Gerusalemme. «Dobbiamo affrontare la questione palestinese, cercando nuove soluzioni», proclama il premier israeliano, che è irremovibile su un solo punto: dialogherà solo con il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen e mai con Hamas.
Ma la decisione di ampliare questi due villaggi ebraici rispettivamente di 35mila e di 27mila abitanti, rischia di esasperare le tensioni anche con Fatah. «Condanniamo questa decisione - commenta il negoziatore capo palestinese Saeb Erekat -. È la dimostrazione che il governo israeliano sta proseguendo la sua politica di colonizzazione e tenta di imporre la soluzione attraverso la forza e un fatto compiuto».
Anche i pacifisti israeliani di Peace Now deplorano la mossa di Olmert, ricordando che viola gli accordi presi con il cosiddetto Quartetto di mediatori, composto da Stati Uniti, Unione europea, Russia e Onu.

Ma la loro voce rimane isolata in un Paese che non sembra più disposto a credere in una soluzione in tempi brevi e che resta indifferente agli appelli della comunità internazionale, come quello lanciato ieri dalla Francia. Lo Stato ebraico va avanti da solo.

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