La platea è folta, i relatori appassionati. Per oltre due ore regna il silenzio perfetto. I pareri si avvicendano, la tensione cresce. Ieri pomeriggio al cattedra al Circolo della Stampa, all'incontro presieduto da Dino Messina e organizzato dalla Fondazione Niccolò Canussio, era affollata da accademici che hanno discusso a proposito di uno dei casi di attribuzione più emozionanti degli ultimi due secoli: l'autenticità del papiro di Artemidoro.
Il professor Fabrizio Conca della Statale di Milano difende la tesi del falso per primo: da filologo qual è, cita etimologica classici, addendum lexici, composti e contesti di cui valutare il periodo di utilizzo. Poi è la volta del professor Franco Farinelli, geografo dell'università di Bologna, che riprende la tesi secondo cui il papiro è opera di un falsario che ha ripreso un testo del geografo Carl Ritter («Restituire alla geografia dignità contro la dittatura cartografica è un obiettivo ottocentesco»).
Quindi prende la parola l'etruscologo professor Sassatelli di Bologna, anch'egli alquanto scettico: «Disegni fatti su un supporto mobile, familiare, non pratico: tutto fa pensare a una scuola di pittura medievale e non a una bottega di mosaicista del I secolo per cui sarebbero stati pensati se autentici». Un colpo dopo l'altro, i più autorevoli dei quali inferti dall'ospite d'onore, il professor Luciano Canfora - che prima di tutti, posando lo sguardo sul papiro in mostra Palazzo Bricherasio subito dopo l'acquisto milionario da parte della San Paolo di Torino disse: «Questo linguaggio è tardivo» e lo bollò per sempre con il sigillo del dubbio - il papiro sembra sbriciolarsi dinanzi agli occhi dei presenti.
Finché interviene, a sorpresa, l'unico difensore della sua autenticità: il professor Albio Cassio, tra i relatori a Berlino durante la presentazione dell'editio princeps di cui è uno dei curatori insieme a, tra gli altri, Salvatore Settis: «Il linguaggio del papiro è esempio di stile asiano, lingua bassa e accumulo di aggettivi.
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