E adesso scappa anche chi cantava le lodi del raìs

La prima vittima del ciclone Gheddafi che sta scuotendo i salotti intellettuali di mezzo mondo è Howard Davies. Il direttore della London school of Economics, l’ateneo dei più roboanti nomi dell’economia europea, si è dimesso, travolto dallo scandalo della laurea (tema della tesi «la democrazia») elargita a Seif Gheddafi mentre la scuola riceveva dal clan libico un generoso contributo di 1,5 milioni di sterline. Il legame tra l’università e il raìs era così «affettuoso», che l’ex direttore della London school Anthony Giddens, guru del Blairismo, scrisse che la Libia di Gheddafi «sarebbe diventata la Norvegia d’Europa».
Ma la lista delle figuracce intellettuali è destinata ad allungarsi. L’opposizione libica ha diffuso documenti che provano l’esistenza di un contratto tra Gheddafi e la Monitor Group, grossa società americana di consulenza strategica incaricata, in sostanza, di ripulire l’immagine del dittatore quando cessarono le sanzioni internazionali contro la Libia.
In fondo è il loro lavoro e anche ben pagato: 3 milioni di dollari. Ma la società ha cercato di giustificarsi con una goffaggine che dovrebbe far venire voglia al Colonnello di strappare l’assegno: «Volevamo favorire la democratizzazione del Paese». Ed è venuto fuori che si era data da fare per fornire uno spessore «professorale» alla filosofia del raìs esposta nel Libro Verde. Gli intellettuali di grido ingaggiati dalla Monitor Group per fare ospitate a Tripoli si sono dati da fare.

Francis Fukuyama, altra firma che si è affacciata su qualche giornale italiano, famoso autore del criticatissimo La fine della storia, avrebbe fatto studiare ai suoi allievi il Libro Verde. Joseph Nye, luminare di Harvard, incontrò Gheddafi e lo elogiò incassando «la normale tariffa di consulenza più le spese». E anche il noto lobbysta neocon Richard Perle atterrò alla corte del raìs.

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