E adesso solo applausi al Massimo dei Moratti

Aveva 20 anni quando papà Angelo alzò la seconda Champions Ora tocca a lui: come sognava, come voleva, come doveva

E adesso solo applausi al Massimo dei Moratti

Di nuovo il fattore M, ancora, vincente. Milito, Mourinho, Moratti, Madrid. L’Inter è campione d’Europa, il suo principe le regala la nobiltà della Champions, due gol d’oro, due colpi che stendono il Bayern di Monaco, noioso, arreso, svuotato. La notte di Madrid è come la notte antica di Milano. Quella notte José Mourinho aveva due anni. Forse sentì piangere attorno a lui. Il Benfica aveva appena perduto la coppa dei campioni. Qualcuno a Setubal, in verità, forse stava pure festeggiando, per il gusto perverso di aver visto i signori di Lisbona cadere davanti a una squadra italiana. Un brasiliano chiamato Jair, con la fascia del sospensorio che spuntava dall’elastico dei pantaloncini neri, scivolando sulla teppa di San Siro aveva realizzato il gol del trionfo, il portiere Costa Pereira aveva fatto l’uovo, il pallone gli era scivolato sotto la pancia, tra le gambe. L’Inter era campione d’Europa, un’altra volta. Quella notte di maggio e di pioggia a Milano è come questa notte di maggio e di caldo a Madrid.
José Mourinho sente ancora piangere e, insieme ridere, lacrime e urla di gioia, è la festa folle, è la liberazione finale, quarantacinque anni dopo, la memoria si riavvolge come nella bobina di un film, i fotogrammi scorrono velocissimi, è sempre Diego Armando Milito, è di nuovo Inter, è di nuovo la coppa, è di nuovo trionfo. Atteso, inseguito, sognato, infine conquistato.
Tre volte Inter, in Italia e in Europa nello stesso anno, due volte Mourinho nello stesso torneo, Ze Mario filosofo e condottiero, affabulatore e stratega, leader maximo anche se il Massimo leader, vero, unico si chiama Moratti. La notte di Madrid era la corsa pazza di Tardelli. La notte di Madrid adesso è la gioia libera di Massimo Moratti, stretto in tribuna tra due presidenti, Abete e Platini, ma lui padrone di questa notte indimenticabile.
Aveva vent’anni quella sera del Sessantacinque, suo padre alzò per la seconda volta la coppa al cielo, la fotografia sta nell’album di famiglia e nella sede sociale, nell’album dei tifosi, nei ritagli dei giornali del tempo: «Inter figlia di Dio» fu il titolo blasfemo del settimanale Milaninter uscito in edizione straordinaria quella sera e sventolato dalla folla dei tifosi in piazza Duomo. Il cardinale Colombo protestò con l’editore, Inter figlia di Moratti è il titolo di oggi, senza lamenti clericali e famigliari.
Mille flash illuminano il volto teso del presidente, stremato, le lenti umide degli occhiali, i capelli esplosi nella festa, come se avesse finito di correre lui sul prato del Bernabeu, come se avesse parato lui i palloni di Robben o avesse toccato lui i palloni d’oro per Diego Armando Milito. È un bambino di sessantacinque anni che finalmente può portarsi a casa il giocattolo più bello. Da giovane lo chiamavano Paperino per il suo fare e dire simpatico e sghembo, imprevedibile e un po’ ganassa, all’ombra di un padre imperioso e di una madre rigorosa e dolcissima, in mezzo a un parentado fitto di fratelli e sorelle. Ieri sera era davvero il Massimo dei Moratti ma di sicuro avrà ripercorso con la memoria quella notte del Sessantacinque, avrà ripensato alla gioia che era di Angelo e di Erminia ma anche sua e di Gianmarco e di Adriana e di Maria Rosa detta Bedi e di Gioia, ma non così forte, totale, quasi esclusiva come stavolta al Bernabeu.
Ha vinto la sua Inter, senza dire, per favore, contro tutti e contro tutto, ha vinto e basta, sul campo, nel gioco, nel risultato, superando roba tosta, il Chelsea, il Barcellona e, ultima stazione, il Bayern di Monaco, inglesi, spagnoli, tedeschi, che c’è di meglio in circolazione?
I suoi barili di petrolio si chiamano Julio Cesar e Maicon, Samuel e Chivu, Zanetti e Lucio, Diego Armando Milito e Sneijder, Pandev, Eto’o e Balotelli, l’oro nero di Moratti non ha prezzo di mercato, fino a ieri era cronaca, adesso entra nella storia, forse segna l’inizio di una nuova avventura sospesa per un lungo tempo. I tedeschi battuti in contropiede, sapore di un calcio messo in soffitta dai nuovi depositari della tattica. Oggi chiamasi transizione ma la sostanza è rimasta la stessa, palla lunga, pedalare e metterla dentro. Così è stato, così poteva essere in altre occasioni con la sturmtruppen di Van Gaal noiosa e slegata in difesa.
Adesso non è più il tempo di pensare al passato, di sfogliare i libri e gli almanacchi del tempo andato. Adesso la nostalgia serve soltanto ai romantici. Massimo Moratti è campione d’Europa, come sognava, come voleva, come doveva.

Aggiungete una fotografia, a colori, a fianco di quella di Angelo con la coppa al cielo. Aggiungete e segnate la data: maggio, ventidue dell’anno duemila e dieci.
Madrid ha una luce bellissima. L’alba di Milano è ancora più bella. Non è stato un sogno. Sì: l’Inter è campione d’Europa.

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