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E gli americani si interrogano: cosa ha fatto per meritarselo?

«Non è uno scherzo, vero? Non è il 1° di aprile?». È stata questa la prima, istintiva reazione di uno dei più stretti collaboratori del presidente degli Stati Uniti quando l’anchorman della Abc George Stephanopoulos lo ha tirato giù dal letto alle sei meno un quarto del mattino per dirgli che Barack Obama aveva vinto il Nobel per la pace. Robert Gibbs, il portavoce della Casa Bianca, è stato più sintetico ma altrettanto incredulo e si è limitato a rispondere con un americanissimo «wow!» alla mitragliata di sms arrivatigli in piena notte per dargli il medesimo annuncio. Molto franco nel riassumere la percezione collettiva dell’entourage obamiano è stato il consigliere del presidente David Axelrod: «Nessuno se lo aspettava. Sicuramente il presidente non ci pensava».
E nessuno ha ritenuto opportuno imporre una levataccia ad Obama per dargli la notizia, lo ha svegliato la figlioletta Malia in stile surreale: «Papà, hai vinto il Nobel. Ed è il compleanno di Bo!» (il cane di famiglia). L’illustre padre si è detto «onorato» e ha annunciato una dichiarazione per le 10.30 ora di Washington (le 16.30 in Italia), ritardandola poi di mezz’ora a conferma della perplessa incertezza sua e del suo staff. Poi si è presentato nel giardino della Casa Bianca e ha dichiarato con sincerità di essere rimasto «sorpreso e profondamente commosso», ma anche di «non essere sicuro di meritare il premio». «Lo accetto con senso di umiltà - ha aggiunto -, come una chiamata all’azione per tutte le nazioni di fronte alle sfide del ventunesimo secolo. È un premio non per i risultati, ma per gli ideali».
Quest’ultima considerazione è forse la più significativa. Obama - che il 10 dicembre andrà a Stoccolma per ritirare il premio - è il quarto presidente americano a ricevere il Nobel per la Pace, e il terzo premiato durante il suo mandato (era già successo a Theodore Roosevelt nel 1906 e a Woodrow Wilson nel 1919). Ma di solito il riconoscimento viene concesso a coronamento di un mandato e di una politica, mentre nel suo caso sembra arrivare quanto meno in largo anticipo, quasi come un incoraggiamento a nove mesi appena dal suo insediamento. Nella motivazione del premio si dice che «per 108 anni il Comitato ha cercato di stimolare proprio quella politica internazionale e quegli atteggiamenti di cui Obama è il portavoce a livello mondiale».
In particolare hanno giocato un ruolo decisivo nella scelta dei giurati gli «sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli» ma anche «la visione e il lavoro» di Obama per «un mondo senza armi nucleari». Resta il fatto che quando i giornalisti presenti a Oslo, che consideravano favoriti i dissidenti cinesi, hanno udito il nome del presidente americano e queste motivazioni, in sala si è levato un prolungato mormorio. Thorbjorn Jagland, presidente del Comitato del Nobel per la pace, nonché ex premier laburista norvegese, ha reagito con il lampo di un sorriso, evidentemente soddisfatto dell’effetto procurato. «Molti penseranno che è troppo presto... » ha detto un giornalista norvegese. Jagland ha replicato che «lo statuto del Premio prevede che venga premiata l’azione compiuta nei dodici mesi che precedono la scelta». Geir Lundestad, l’influente segretario del Comitato, ha meglio precisato: «Aver cambiato il clima internazionale ed aver messo in piedi un nuovo ordine internazionale è già un atto concreto. Si spera, naturalmente, che col tempo si arrivi a cambiamenti concreti ma abbiamo avuto la sensazione che fosse appropriato sostenerlo».
Una visione che non convince molti avversari politici di Obama. I repubblicani americani, in particolare, sono stati sferzanti: «La vera domanda da porsi - ha dichiarato il loro segretario Michael Steele - è cosa abbia effettivamente realizzato il presidente. È una delusione che il suo status di star abbia oscurato il lavoro di persone che si sono impegnate instancabilmente per la pace e i diritti umani».
Molto affollato il coro degli elogi internazionali (in Occidente ricordiamo Sarkozy, la Merkel e Silvio Berlusconi che in un messaggio a Obama ricorda il «giusto riconoscimento al tuo lavoro per il rilancio di una politica di cooperazione fra i popoli»). Ma se i suoi più accesi nemici nel mondo, talebani e Hamas in testa, hanno reagito con rabbia alla notizia di Obama premiato, anche tra i suoi ammiratori non si nascondono perplessità. Tra loro spicca l’ex presidente polacco Lech Walesa (Nobel nel 1983): troppo presto, ha detto. Feroce, tra la stampa, il Wall Street Journal («Obama non ha fatto la pace con nessuno, forse con Hillary Clinton»), mentre Time avverte che il Nobel potrebbe perfino danneggiare Obama, «rischiando di aggiungere un enorme peso alle aspettative che ha portato con sé entrando in carica: e la realtà del governo ha già mostrato come molte di queste fossero ridicole».

E l’inglese Daily Telegraph si spinge a prevedere «l’immeritata trasformazione di Obama in un personaggio da operetta».

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