E Avvenire censura l'articolo pro Sgarbi 

In un commento di Davide Rondoni sul Padiglione Italia spariscono gli aggettivi in favore del curatore. Il collaboratore si lamenta, ma il direttore: "Sono idee che non ci appartengono"

E Avvenire censura 
l'articolo pro Sgarbi 

La Biennale dello scon­t­ento e delle eterne po­lemiche. Vade retro , Vittorio Sgarbi. Malefi­co e nefasto, icastico ed eretico, il critico di riferimento del pensiero irregola­re e dell’arte antiaccademica è da settimane sulla graticola dell’opi­nione intellettualmente corretta, pronta a incenerire nelle vampe della disapprovazione e della cen­sura ogni forma culturalmente dissenziente. L’ultimo rogo ideologico,in or­dine di tempo, l’ha accesso con la granitica convinzione religiosa di agire nel nome del Giusto e del Bello, il pio quotidiano dei Vesco­vi Avvenire . Che con il Giornale in particolare, e la destra di governo in generale, ha un dente ancor più avvelenato dai tempi del vec­chio direttore Boffo, vendicato a ogni pie’ sospinto dall’attuale.

In sæcula sæculorum . Sgarbi e l’in­tellettualità di destra? Meglio stroncarli. E se proprio se ne deve parlare bene, lo si faccia senza esagerare. Sia il vostro parlare «sì sì», «no no», ogni aggettivo di più viene dal maligno. Il caso maligno è scoppiato, dentro Avvenire , qualche giorno fa, quando contemporaneamen­te, il 7 giugno, appaiono nelle pa­gine del quotidiano della Cei due articoli sulla Biennale di Venezia.

Il primo, firmato dal critico Mauri­zio Cecchetti, è una feroce stron­catura della rassegna, particolar­mente pesante nella parte riguar­dante il Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi, il quale corag­giosamente non viene mai citato per nome, ma solo indicato co­me il «furetto furoreggiante» o il «critico-contro­tutti », accusato di aver ridotto la mostra a «circo», di aver allestito una «surreale ab­buffonata », di aver fatto puro «avanspettacolo».Il secondo pez­zo, del poeta Davide Rondoni, pubblicato in seconda pagina, quella che ospita gli editoriali del­­la testata, è invece una riflessione sull’arte sacra e sulla presenza di Dio nelle opere ospitate nella Biennale: un commento calibra­to, per nulla acritico rispetto al la­voro di Sgarbi ( anzi, in parte addi­­rittura scettico), dove (però!) il Pa­diglione Italia viene giudicato «una provocatoria messa in que­stione della critic­a d’arte contem­poranea e di certi assetti di potere ideologico-commerciale» dove «in alcune opere abbaglia una specie di meraviglia per la vita». Parrebbe, e potrebbe, finire tutto qui. Potrebbe.

Due giorni dopo, nella pagine delle lettere di Avvenire , in posi­zione defilata, appare un lungo botta&risposta che svela un poco piacevole retroscena «ideologi­co » sulla vicenda in particolare (il caso Sgarbi-Biennale)e un’imba­razzante caduta giornalistica su un piano più generale (le lezioni deontologiche sulla famigerata «macchina del fango»,che è sem­pre quella degli altri). Davide Rondoni, in una lettera al giorna­le, prima esordisce con un sibilli­no «a parte l’aver subito una non simpatica correzione al mio pez­zo pubblicato ieri sulla Bienna­le », poi si dice stupito delle criti­che «unilaterali»al lavoro di Vitto­rio Sgarbi, «che dà certo molti mo­tivi di scandalo» ma ha indiscuti­bilmente posto una questione fondamentale:«Se l’arte contem­poranea ( o meglio quella più pro­mossa nei circuiti del potere) in questi anni ci ha regalato una se­rie di astuzie, di ideologismi, di banalizzazioni e non poche ingiu­rie alla fede nostra di cristiani, lo si deve anche alla accettazione di alcune premesse culturali che so­no invece messe in discussione da quel Padiglione. Si potranno discutere i modi... ma occorre comprendere ed eventualmente discutere la sostanza culturale». Segue la risposta d’ufficio di Maurizio Cecchetti, che aveva fir­mato l’inquisitoriale cronaca da Venezia.

Ma- soprattutto - chiu­de la curiosa querelle una breve nota siglata «mt», ossia Marco Tarquinio, il direttore di Avveni­re . Parole inquietanti se scritte di pugno di chi si è stracciato le vesti di fronte ai principî etici e dentolo­gici dell’informazione calpestati da quei giornalisti prezzolati e fa­natici del Giornale , ad esempio. «Aggiungo poche righe - scrive il direttore Tarquinio, ammetten­do la censura - . Davide Rondoni avrebbe voluto definire su Avve­nire “geniale” e “fertile” la provocazione che Sgarbi ha preteso e ottenuto di portare alla Biennale. Che sia sim­patico o meno, quegli ag­gettivi re­stano le uniche co­se della sua “lettura” che non ho fatto e non intendo fare nostre. Davide è uo­mo di forte carattere, ma è soprattutto un intelligente ami­co: capirà». Davide Rondoni di certo ha ca­pito. Infatti ha ripreso tranquilla­mente ( e giustamente) a scrivere per la testata cattolica, apostolica e romana. Noi, a dire il vero, un po’ meno.

Con quali criteri, gior­nalistici oltreché morali, si può decidere se «fare nostri» o meno gli aggettivi, i giudizi o le idee di un collaboratore, un noto e ap­prezzato intellettuale, senza in­formare il diretto interessato pri­ma della pubblicazione? Qualche settimana fa, in un edi­toriale del Mattino , comparvero intere frasi anti-governative a in­saputa del giornalista. Oggi dal­l’ Avvenire spariscono aggettivi pro-Sgarbi con sorpresa dell’au­tore. Misteri della fede.

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