E c’è anche un fratello sdentato e spia per caso

Imbianchino, ebbe un momento di gloria quando nel ’67 fece in Italia una parodia di Bond

Chissà se nell’autobiografia Sean Connery citerà il fratello Neil, otto anni più giovane (1938), stessa statura (1 metro e 85), ma infinitamente più scialbo e incapace? Eppure il cinema regalò un momento di gloria anche a questo fratello, minore in ogni senso. L’ha appena ricordato Marco Giusti su Stracult, per Raidue. Era il 1967. Connery senior stava meditando di farla finita con James Bond per intraprendere altre strade (poi ci ripensò in parte con Una cascata di diamanti), i cine-cloni di 007 si vendevano come il pane. Così, apprezzato nei generi d’azione, l’italico Alberto De Martino si ritrovò ingaggiato da United Artists e Titanus per girare Ok Connery, all’estero noto come Operation Kid Brother. Dove il Connery in questione era, appunto, il fratellino Neil, imbianchino, fatto arrivare in gran fretta da Edimburgo per questa ricca variazione sul tema di 007. Senza badare a spese, la produzione gli mise infatti accanto alcuni noti reduci della serie ufficiale, pagandoli pure meglio. Così lo stupefatto Neil si ritrovò sul set con Bernard Lee (M), Lois Maxwell (Miss Moneypenny), Daniela Bianchi (la Tatiana Romanova di Dalla Russia con amore), Adolfo Celi (l’Emilio Largo di Operazione Tuono), Anthony Dawson (il temibile Blofeld).
Da non crederci. Infatti non ci credeva nemmeno il regista, che poi avrebbe firmato titoli come L'anticristo con Mel Ferrer e Holocaust 2000 con Kirk Douglas. Oggi 70enne, rievoca sorridendo: «Per dirla tutta, non resistetti all’assegno dell’anticipo. Però, nel vedermi davanti Neil Connery, mi prese un mezzo spavento». Il perché è presto detto: «Era pelato, sdentato, con una giacchetta striminzita nonostante il freddo pungente. Subito gli regalai un cappotto. Poi cominciammo a lavorare sulla sua faccia, per creare un fratello credibile di Bond. Prima un parrucchino, poi una dentiera e dei cerottini invisibili per allungare gli occhi, infine una barbetta un po’ mefistofelica per coprire il mento sfuggente. Non era mai stato davanti a una cinepresa. Mentirei se dicessi che aveva talento. Però il film venne fuori carino. Un po’ agente segreto un po’ ipnotizzatore, Neil se la cavò. Andò pure discretamente al box office». E il fratello famoso? «Si incazzò discretamente».
Roba da «stracult», appunto. Quando, immaginando infinite variazioni sul numero 7, il nostro cinema moltiplicò le imitazioni dell’agente segreto apprezzato da Umberto Eco ed esecrato da Lietta Tornabuoni. Giorgio Ardisson si arricchì incarnando l’Agente 3S3, e intanto erano fiorite parodie come James Tont con Buzzanca o Il nostro agente Flit con Vianello e la Carrà. Naturalmente, nel congegnare Ok Connery, gli autori furono attenti a dosare le allusioni allo spione inventato da Fleming, per non incorrere in grane legali. Tanto da far scrivere a Tullio Kezich: «Di fronte al James Bond multimiliardario, senza più invenzione né vivacità, la parafrasi di Ok Connery riesce simpatica e a tratti divertente.

Almeno qui siamo nel fumetto dichiarato, senza pretese, il regista mostra di saper tenere il ritmo e fa circolare tra gli attori un’intesa di allegra complicità». Magari esagerava. Inutile dire che di Neil Connery attore si persero rapidamente le tracce: nel '69 l'horror di serie Z Invasion of Body Stealers, qualche comparsata in tv, poi nulla.

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